(IL MONITORE - gennaio 2003 - Pubblicato col titolo: "Stranezze di un giornalista")
Di solito non ci occupiamo di inezie, né parliamo di nullità, ma nel caso del sig. Michele Santoro, giornalista della RAI prima licenziato, poi reintegrato nel posto di lavoro da una sentenza di un tribunale della Repubblica, vorremmo fare un’eccezione, perché il caso in questione è quanto meno singolare. Il fatto che un lavoratore licenziato debba essere riassunto dal datore di lavoro non fa assolutamente notizia, mentre, se invece egli non viene reintegrato, siamo in presenza di uno scoop clamoroso. A questo ci hanno abituato da decenni i giudici competenti in materia, i quali, con questo atteggiamento indiscriminato, hanno rovinato il mercato del lavoro. Infatti qualsiasi azienda, i dipendenti buoni ed efficienti, se può, se li tiene ben stretti, e, se licenzia qualcuno, di solito è perché se lo merita. Ma, nel caso specifico, lasciamo perdere. Che Santoro riabbia pure il suo posto, il suo stipendio e la sua bella scrivania.
La cosa che ci terrorizza, però, è che egli possa riavere anche la sua trasmissione, la famigerata “Sciuscià”, in cui il Santoro ha sempre dato prova non solo di parzialità e di falsità (il che è purtroppo, come dice egli stesso, un suo diritto), ma anche di maleducazione (e questo neanche lui può permetterselo). Se ciò avvenisse, come lo stesso cosiddetto conduttore televisivo spera e pretende, sarebbero sovvertiti i principi della correttezza e del buon gusto ed anche le regole del libero mercato, poiché se Santoro è stato licenziato è proprio perché la sua trasmissione aveva disgustato un po’ tutti, persino i suoi compagni di fede politica (o almeno quelli dotati di un minimo di correttezza e di onestà). Sciuscià, insomma, non piaceva più a nessuno, se non a qualche becero ignorante, e chi durante lo zapping aveva la sfortuna di imbattersi in quella trasmissione, si affrettava a cambiare canale, almeno per non guastarsi la digestione. Perciò, che Santoro riabbia pure il suo posto, anche se i suoi ricchi emolumenti fino a prova contraria, sono a nostro carico, visto che la RAI è ancora un ente pubblico. Siamo ben lieti di fare il sacrificio, purché l’ineffabile soggetto se ne stia nel suo bell’ufficio o se ne vada pure a passeggio in orario di lavoro, e non venga a disturbare le nostre serate di gente stanca di una giornata di lavoro solitamente più duro e meno retribuito di quello del soggetto stesso. Ed eviti pure di organizzare cortei o girotondi, che tanto c’è stato chi l’ha fatto prima di lui per motivi forse ingiusti e di parte, ma certamente di interesse più collettivo. Non si illuda il Santoro: gli italiani dimenticano presto (e perciò sono più buoni): domani anche i suoi amici più fedeli si dimenticheranno di lui e del suo spettacolo da baraccone, del tipo di quelli da “tre palle un soldo”, dove qualche squallido impotente si divertiva a scagliare parole e insulti (non palle, perché quelle comunque mancavano) all’avversario politico di turno.
E, a proposito! Quegli stessi personaggi, che vorrebbero nuovamente Santoro agli onori del piccolo schermo, non mi vengano a parlare di Minculpop, se (è notizia recente) la maggioranza auspica un po’ di obiettività per i libri di storia scolastici, oggi spaventosamente bugiardi! Se egli ci fosse imposto, a dispetto del buon gusto e del buon senso, quella sarebbe veramente un’operazione da Minculpop; come quelle che abbiamo subito nei lunghi anni di dittatura della sinistra, anni di potere che essi hanno perduto a furor di popolo e a cui, ancora oggi, fanno fatica a rinunciare.