(IL MONITORE - marzo 2003)
L’attesa della guerra è forse peggiore della guerra stessa: tutta la vita del “mondo occidentale”, quello – per intenderci – che ha già dichiarato e cominciato a combattere una difficile e insidiosa guerra contro il terrorismo, ne è completamente sconvolta. Crollano le borse, aumenta il prezzo del petrolio, l’economia rallenta, la paura serpeggia, fino a provocare vere e proprie esplosioni di panico inconsulto, come quella che, lo scorso 17 febbraio, ha provocato ventuno morti in una discoteca di Chicago. La sensazione comune, anche se inconfessata (e forse inconfessabile), è che sarebbe meglio che questa guerra contro l’Iraq scoppiasse al più presto, purché finisca rapidamente, molto rapidamente.
E’ proprio questo il punto: anche se calcoli puramente egoistici e crudeli farebbero sperare nella benefica sferzata che deriverebbe all’economia mondiale da un conflitto vittorioso e soprattutto breve, gli stessi calcoli egoistici ci fanno temere che un prolungamento delle ostilità, oltre le sei settimane trionfalmente sbandierate dagli USA, porti l’economia mondiale alla rovina e noi stessi alla miseria. Con tutto il prevedibile contorno (questo sicuro in ogni caso) della recrudescenza del terrorismo suicida nelle nostre tranquille e ben pasciute terre occidentali. E allora è necessario, prima di dichiararsi guerrafondai o pacifisti, porsi la solita domanda fondamentale che dovrebbe precedere ogni scelta difficile: cui prodest? Chi trarrà vantaggio da questa guerra o, almeno, chi crede che essa gli gioverà? La risposta è abbastanza semplice: una certa lobby economica americana crede che la sferzata all’industria bellica, che per definizione si accompagna ad un conflitto, aggiunta al probabile e speranzosamente rapido accaparramento delle risorse petrolifere del golfo Persico, possa finalmente sbloccare l’asfittica situazione economica che purtroppo opprime l’occidente dai famigerati giorni dell’11 settembre 2001. E, poiché l’economia USA è notoriamente in mani sionistiche, l’ipotesi bellica è doppiamente allettante, perché darebbe anche una mano non indifferente allo stato di Israele in perenne conflitto con le nazioni arabe, in mezzo alle quali la sublime idiozia inglese volle incastonarlo.
Ma a noi occidentali, che ci riteniamo depositari della civiltà più civile, della tolleranza più tollerante, della giustizia più giusta, a noi la guerra conviene? Certo che no; a parte il fatto che, se siamo giusti e tolleranti, essa non può che ripugnarci, per l’inevitabile ecatombe di vittime innocenti che l’accompagnerà o – preferendo il condizionale – l’accompagnerebbe. Neanche le nostre speranze più egoistiche, di vedere la Borsa finalmente dominata dal “toro”, di veder scendere il prezzo del petrolio e aumentare la nostra misera ricchezza, hanno molte speranze di essere soddisfatte. Una probabile vietnamizzazione del conflitto e l’inevitabile recrudescenza del terrorismo internazionale annullerebbero gli incerti benefici.
E allora ben vengano le azioni in favore della pace dell’Europa, finalmente unita se pure a fatica in questo frangente, del Papa con la sua accorta diplomazia, del Governo italiano con il suo equilibrio, tanto più evidente quanto più scomposte le agitazioni dell’opposizione di sinistra. La nostra speranza è difficile, ma, come ogni speranza, dura a morire: che il regime assassino di Bagdad possa cadere da solo, per spinte interne o per volontà del suo stesso dittatore. L’azione delle forze del bene sono tutte in questo senso. Mentre vanno purtroppo in senso opposto, verso il rafforzamento del malefico potere del rais, le cosiddette manifestazioni per la pace che hanno infestato le principali città nei giorni scorsi. Manifestazioni dove le bandiere rosse e quelle con le effigi di ceffi trapassati del comunismo internazionale soverchiavano, purtroppo, le stesse bandiere arcobaleno; manifestazioni non per la pace, ma contro l’America, ghiotto bocconcino per la sinistra internazionale, che non vuole rassegnarsi alla sua sconfitta storica e definitiva. Manifestazioni che hanno reso Saddam più tranquillo e più saldo sul suo trono insanguinato e che potrebbero fargli sperare di evitare il suo ineluttabile destino. Ma le forze del bene vinceranno – noi lo speriamo - senza combattere la guerra, perché il bene, come sempre, vince con la pace. Auguriamoci che così sia!