(IL CERCHIO - marzo-maggio 2003)
Gentile Signora Iervolino,
nella mia precedente lettera le espressi il desiderio, anzi la voglia, che noi napoletani abbiamo di essere normali. Immagino che anche lei condivida questo sentimento: lo dimostrano le sue ire ed i suoi sfoghi improvvisi o, meglio, le sue “sparate”, come più propriamente possiamo nominarli col soccorso della nostra stupenda lingua napoletana. Perché - cara Signora - solo di sparate si tratta; fuochi di paglia che durano pochi minuti e poi non lasciano posto ai fatti. Come quando liquidò il prof. Mercurio, presidente di NapoliPark, con la frase lapidaria “Non ci interessano quattro strisce per terra” o quando disse e urlò, quasi sei mesi fa, “Chi ha sbagliato deve pagare! Deve pagare!”, riferendosi all’ormai leggendaria vicenda dei cosiddetti “stipendi gonfiati del comune di Napoli”. Lei, signora Iervolino, deve essere certamente una sognatrice, e i suoi diretti collaboratori lo sono certamente ancora più di lei. Non è possibile infatti vaneggiare di portare a Bagnoli la barca Alinghi con la sua Coppa America, di centinaia di capannoni per barche a vela, di alberghi e strutture turistiche, quando non siamo ancora riusciti non dico a risolvere, ma almeno ad affrontare problemi molto più prosaici, ma più pressanti, come quello del traffico e, appunto, dei parcheggi, o a convincere i cittadini che non è rischioso andare a fare la spesa al mercatino di Antignano. Sì perché, in quello, come in tutti gli altri luoghi pubblici della città, si è esposti al pericolo di essere scippati (e fin qui poco male), oppure di trovarsi coinvolti in una bella sparatoria, come è appunto successo pochi giorni fa al Vomero.
Ma torniamo al problema che più ci sta a cuore, quello che ci ha fatti diventare lo zimbello e la favola nazionale, cioè lo scandalo degli stipendi gonfiati. Devo dire che il Comune non è nuovo a episodi di disinvolta gestione del personale. Tanto tempo fa, vent’anni forse, quando lei, Signora, non immaginava nemmeno che sarebbe diventata sindaco di Napoli, mi servivo per la mia auto dell’opera di un bravo carrozziere; questi era sempre molto disponibile, ma scompariva misteriosamente intorno al 27 di ogni mese. La mia curiosità riguardo a queste assenze fu candidamente soddisfatta dallo stesso interessato, che mi informò di essere un dipendente comunale e di avere il dovere, un sol giorno al mese naturalmente, di raggiungere il suo posto di lavoro per riscuotere lo stipendio. Non so se, dopo tanti anni, fatti del genere si verifichino ancora; comunque c’è da dire che la storia degli stipendi ha fatto decisamente impallidire episodi come quello che ho raccontato. Fatti che comunque dovevano essere tranquillamente conosciuti (e tollerati) dall’Ufficio del Personale, se, poco prima che scoppiasse la bomba degli stipendi, lo stesso Ufficio si vantò di aver ridotto il tasso di assenteismo dal 40% a zero e quello di errore dal 40% all’1%. Peccato che poi si sia scoperto che bastava andare da un funzionario del Comune, evidentemente buono di nome e di fatto, per farsi aumentare lo stipendio non dico a piacimento, ma in base a valutazioni pretestuose o piuttosto – mi si consenta l’ardire – in base all’avallo di qualche persona di opportuno peso forse politico. Non credo infatti che una truffa di questa portata, perché di una truffa in piena regola si tratta, si sia potuta realizzare, pur in un ambiente allegro come quello del comune di Napoli, soltanto per iniziativa di qualche impiegato. Troppe erano le persone coinvolte perché potesse trattarsi soltanto di un imbroglio segreto architettato da qualche mariuolo. Il nostro parere – Signora Iervolino – è che lei avrebbe il dovere, cessata l’ira e lo sfogo del momento, di sviscerare il problema, fino a scoprire i veri colpevoli, correndo il rischio di pestare i piedi a qualche potente al di sopra di ogni sospetto. Solo così si potrebbe restituire credibilità ad un’istituzione incapace di offrire ai propri cittadini la parvenza di un vivere civile e capace soltanto di aumentare balzelli, divieti di sosta, ICI e tasse varie, pur di cercare di raddrizzare un bilancio economico da sempre deficitario. Se per assurdo (veramente per assurdo) una cosa del genere fosse avvenuta a Milano, non credo che a distanza di sei mesi tutto sarebbe passato sotto silenzio, salvo l’eliminazione di qualche “pesce piccolo”. Ricordiamoci che una miserabile tangente di sei milioni di vecchie lirette al direttore del Pio Albergo Trivulzio di Milano fece scoppiare niente meno che “Mani Pulite”. Qui parliamo invece di miliardi, per l’esattezza 500 milioni di euro, pari al 40% del bilancio del Comune, spesi ogni anno per pagare i 13.480 dipendenti comunali, evidentemente non tutti con la coscienza pulita.
E allora, Signora Iervolino, metta in pratica la sua frase ormai famosa “Chi ha sbagliato deve pagare!”. Non la riduca allo sfogo isterico e impotente di chi non sa usare la propria forza. Non si limiti a far pagare solo qualche impiegato che riceveva sicuramente ordini non scritti da qualcuno, ma scopra i veri colpevoli, gli intoccabili. Abbia il coraggio di fare piazza pulita, anche a costo di rompere qualche oscuro e omertoso equilibrio di potere! La nostra città, la sua città – Signora Sindaco – ne avrebbe tutto da guadagnare e si avvierebbe sulla strada della normalità, che, mentre per gli altri è appunto normale, per noi è ancora lunga e difficile.