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Senza saettelle non c’è speranza

Un violento temporale di fine primavera del 1995 e le strade della città si trasformano in fangosi torrenti. Perché? La colpa è delle “saettelle” otturate.

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Caro Direttore,
forse ti stupirai di questa mia lettera, ma devi sapere che ho vinto la mia pigrizia e mi sono deciso a scriverti a causa di un temporale.
Sì, hai capito bene, sto parlando proprio di un temporale, ma non di un temporale normale, di quelli che puoi trovare in tutto il mondo, bensì di uno di quei piccoli cataclismi che la nostra cara Napoli sa elargirci nei periodi di cambiamento di stagione.
Insomma l’altro giorno, a cavallo tra maggio e giugno, quindi proprio nel periodo cruciale, che quest’anno definirei più fine di primavera che inizio d’estate, stavo tornando dal Centro Direzionale a casa mia, a via Petrarca, quando, arrivato all’altezza di piazza Municipio, ho visto il sole cedere il passo a dei nuvoloni neri poco rassicuranti. La cosa mi ha un po’ preoccupato, perché, come forse ricorderai, io giro in vespa, come tanti napoletani che hanno trovato questo simpatico espediente per cercare di risolvere in proprio il problema del traffico, a dispetto degli esperimenti (grazie a Dio scarsi oltre che carenti) del nostro amato sindaco Bassolino.
Le nubi scure e compatte e l’aria fattasi improvvisamente fredda non lasciavano dubbi: stava per scatenarsi uno di quei temporali brevi e intensi, che i pescatori napoletani chiamano “a trupea”. Ciononostante, da inguaribile ottimista, ho proseguito il cammino, infilando però la corsia preferenziale di via Acton (per le vespe si chiude un occhio) per evitare la coda perenne che affligge quella strada da quando la suddetta giunta ha cominciato a lavorare. Ma purtroppo il piccolo cataclisma non mi ha dato scampo: all’altezza dell’Istituto Navale sono cominciati a cadere i primi goccioloni, che sembravano tanti bicchieri d’acqua, e, una volta raggiunto il vicino riparo della galleria della Vittoria, ero già bagnato come un pulcino.
Dopo aver atteso all’altro capo della galleria in piacevole conversazione con una miriade di vespisti tutti ammassati come alla linea di partenza di una corsa, in attesa che il temporale finisse, ho affrontato il resto del cammino verso casa, nell’aria ancora greve di umidità. Ho percorso la Riviera di Chiaia, che da quando qualcuno ha deciso di chiudere un ridicolo pezzettino di via Caracciolo è diventata un inferno permanente, ho percorso viale Elena e finalmente mi sono affacciato alla salita di via Orazio. È qui che sono cominciate le vere difficoltà. Innanzi tutto il traffico era completamente impazzito, con le macchine ferme in ordine sparso, come pecore su un improbabile presepe, ed i clacson a tutta forza a simulare una novena di zampognari fuori stagione. Da via Orazio scendeva un vero e proprio fiume limaccioso che trasportava a valle, cioè a Mergellina, una massa inverosimile di detriti: foglie, barattoli, bottigliette di birra, profilattici, ammassi di fazzoletti di carta e di giornali spugnati. C'era, a parte le foglie, tutto un campionario dei resti delle notti brave consumate dai nostri compaesani, che, non possedendo -poverini!- una garçonnière, hanno pensato di adibire a questo scopo i marciapiedi lato mare delle strade di Posillipo, impedendone l'uso a chi volesse semplicemente servirsene per ammirare il panorama, senza il rischio di essere scambiato per guardone.
Comunque ho innestato la prima e, da vero coraggioso quale sono, ho affrontato la salita, vincendo la forza della corrente, che non scherzava affatto, e facendo lo slalom tra le macchine bloccate dalla violenza della fiumana e tra le voragini che la stessa acqua aveva scavato svellendo i cubetti di porfido. Finalmente: come Dio ha voluto, sono arrivato a casa.
A questo punto, caro Direttore, ti domanderai e mi domanderai: e i tombini, quelli che a Napoli chiamiamo saettelle, non hanno funzionato? Certo che no! Le saettelle erano otturate, non dai detriti di questo temporale, ma da quelli di tanti temporali precedenti. Perché, devi sapere, nessuno a Napoli si preoccupa di sturare le saettelle; qui inauguriamo i parchi pubblici (anche se costruiti da altri), portiamo cento bambini a vedere gratis la partita Napoli-Milan, pedonalizziamo i pezzetti di via Caracciolo, offriamo perfino i cioccolatini agli arci-gay e alle arci-lesbiche, apriamo perfino i portoni dei palazzi patrizi (pur non avendone alcun titolo), ma le saettelle no!, quelle non le apriamo. Evidentemente i tombini che funzionano non servono a far scrivere sui giornali del nord che Napoli è finalmente migliorata, perché il Sindaco sta lavorando veramente bene!
E passi se notizie del genere compaiono sul “Corriere della Sera”, i cui lettori per la maggior parte non possono controllare di persona, non avendo la fortuna-sfortuna di vivere qui! Ma che il premio Nobel Modigliani si permetta di scrivere su “Il Mattino” che l’aria di Napoli ora è profumata è veramente il colmo. Ma ce l’ha il senso dell’odorato? O con la vecchiaia ha perso anche quello?
Caro Direttore, perdonami lo sfogo! E grazie per aver avuto la pazienza di leggermi fino in fondo.
Tuo affezionatissimo

Paolino Vitolo


In italiano: “Tombini”

Punto di osservazione