(Intervento al convegno "Napoli tra le due guerre" - Napoli - Emeroteca Tucci - Posta Centrale - 28 febbraio 2008)
Ottantacinque anni fa, nell’ormai lontano 1923, il re d’Italia Vittorio Emanuele III costituì con decreto reale il Consiglio Nazionale delle Ricerche. All’inizio l’istituto si configurava come Ente Morale ed aveva lo scopo di rappresentare l’Italia nel Consiglio Internazionale delle Ricerche di Bruxelles. Il primo presidente del CNR fu Vito Volterra, matematico di fama internazionale, che già da alcuni anni si batteva per la costituzione di un organismo italiano che potesse porsi in relazione con il Consiglio Internazionale.
Senza voler fare retorica a buon mercato, notiamo che era un’Italia nuova quella che si metteva in moto: erano gli anni in cui si facevano molti fatti e poca politica, gli anni in cui persino a Napoli si programmava la città futura e – cosa ancor più importante – la si realizzava. Alludo all’opera del prefetto “fascista” Michele Castelli, che tra il 1925 e il 1930, come Marco Demarco, persona certo non sospetta di nostalgie, cita nel suo libro L’altra metà della storia “trasformò Napoli: rilanciò il porto, costruì i due tunnel che collegano il centro con Fuorigrotta e l’area flegrea, risistemò il lungomare, creò la stazione ferroviaria di Mergellina, gli ospedali Principe di Piemonte, oggi Monaldi, e XXIII Marzo, oggi Cardarelli, e avviò l’urbanizzazione del Vomero” . Purtroppo per Napoli, questo fu l’ultimo intervento organico di tipo urbanistico realizzato; dopo, buio completo, se si esclude la parentesi del sindaco Achille Lauro che, pur tra mille contraddizioni e nonostante il facile populismo di film come il pluridecorato “Le mani sulla città” di Francesco Rosi, riuscì a dare alla città il prestigio internazionale che le compete e le competerebbe anche oggi.
Tornando al CNR, esso assunse veramente un’importanza internazionale con Guglielmo Marconi, l’inventore della radio, che ne assunse la presidenza nel 1927. Da allora in poi il CNR divenne sempre più uno strumento per aumentare il prestigio dell’Italia nel contesto mondiale. Ma gli eventi precipitavano e il 18 novembre 1935 la Società delle Nazioni, influenzata da potenze ostili come la Gran Bretagna e la Francia, che vedevano di cattivo occhio l’espansione italiana in Africa Orientale, decretò il blocco economico contro l’Italia, le cosiddette “inique sanzioni”. Questo provvedimento, che di fatto ci impediva l’approvvigionamento delle materie prime e delle fonti di energia, che da sempre scarseggiano sul nostro territorio, costrinse l’Italia ad una serie di contromisure, che presero globalmente la denominazione di “autarchia”. Anche il CNR risentì di questa situazione e, con la presidenza del Maresciallo Pietro Badoglio nel 1937, divenne sempre più un centro di ricerca tecnologica in preparazione di una guerra futura, che sembrava sempre più probabile. In particolare, poiché tra le altre cose venne a mancare il petrolio e la benzina per l’autotrazione e per l’industria, si intensificarono gli studi per l’utilizzo di fonti di energia alternative, che ci consentissero di evitare una paralisi pressoché totale e di conseguenza l’impossibilità di partecipare ad armi pari ad un eventuale conflitto.
In questo contesto uno degli studiosi più prestigiosi ed attivi, che si occuparono di questi carburanti alternativi, fu il prof. Pericle Ferretti, ordinario di Meccanica Applicata alle Macchine della Scuola di Ingegneria (il futuro Politecnico) dell’Università di Napoli. Egli propose la costituzione di un Istituto, la cui funzione specifica fosse proprio lo studio di motori che potessero funzionare con bassi consumi ed alti rendimenti e che potessero sfruttare carburanti diversi dal petrolio e dai suoi derivati. Come si vede, un obiettivo estremamente moderno e di bruciante attualità ancora oggi, dopo che sono passati la bellezza di settanta anni. I voti di Pericle Ferretti trovarono concreta attuazione il 9 maggio 1940, quando il CNR, alla presenza del re Vittorio Emanuele III, inaugurò ufficialmente l’Istituto Nazionale dei Motori. I finanziamenti necessari per le molte apparecchiature di avanguardia furono concessi dall’IRI (Istituto Ricostruzioni Industriali) e la sede prescelta fu naturalmente Napoli, dove appunto operava il prof. Ferretti. Egli stesso assunse la carica di Direttore dell’Istituto, carica che conservò fino alla sua scomparsa avvenuta dopo vent’anni, nel 1960, quando la bufera della guerra, anche grazie alla prodigiosa ripresa di quel decennio, non era più che un triste ma pallido ricordo.
Nel 1940 la Scuola di Ingegneria dell’Università di Napoli si trovava a via Mezzocannone, in pieno centro storico. Del resto lo stesso Politecnico dopo la guerra rimase nella stessa sede fino al 1964, quando fu trasferito nella nuova sede di Fuorigrotta, piazzale Tecchio, dove è tuttora, vicinissimo all’Istituto dei Motori (che dopo la guerra perse l’aggettivo “Nazionale”, pur conservando la stessa connotazione di istituto di avanguardia di valenza mondiale). Quindi, al momento della fondazione, nel 1940, sarebbe stato forse logico insediare l’Istituto presso la sede universitaria di via Mezzocannone, ma ciò non avvenne, perché, come ho già detto, in quei tempi si pensava in grande e, nonostante gli affanni di un conflitto duro e impegnativo, si pianificava per il futuro. Cosa che non si è più fatta in seguito, nei facili periodi del benessere. Quindi si scelse un’ubicazione nell’area flegrea, già sede della Mostra d’Oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo e del Collegio Costanzo Ciano (meglio noto come sede della NATO di Bagnoli), per citare i due esempi più cospicui. L’Istituto Nazionale dei Motori sorse nella sede attuale, cioè nel largo Eugenio Barsanti e Felice Matteucci, dedicato appunto ai due grandi italiani che inventarono il motore a scoppio.
E’ opportuna a questo punto una piccola parentesi per fugare ogni dubbio sulla paternità di questa invenzione, che ha letteralmente cambiato la nostra vita. Barsanti e Matteucci il 5 giugno 1853 depositarono all’Accademia dei Georgofili di Firenze una memoria sul motore a scoppio da loro costruito e sperimentato. Inoltre il 13 maggio 1854 ottennero dall’ufficio brevetti inglese, Office of the Commissioners of Patents, il rilascio dell’atto di nascita ufficiale dello stesso motore, che nel successivo giugno 1854 fu pubblicato sul “Morning Journal” di Londra. Solo nel 1867, ben tredici anni dopo, fu presentato a Parigi il motore Otto e Langen (dal nome dei due ingegneri tedeschi che l’avevano realizzato) che altro non era che una copia perfezionata del primo motore Barsanti e Matteucci. Un’ultima curiosità: il primo motore a scoppio dei due inventori italiani funzionava a idrogeno! Corsi e ricorsi storici.
Ma torniamo al nostro Istituto Nazionale dei Motori. A prima vista potrebbe sembrare che esso fosse stato istituito per motivi puramente utilitaristici, anche se pressanti; vale a dire la ricerca di motori funzionanti con carburanti autarchici. In verità l’idea di Pericle Ferretti aveva un respiro molto più ampio: in tutto il mondo stavano nascendo istituti analoghi. Vale la pena citarne alcuni: nel Regno Unito il laboratorio di ricerca “Ricardo”, fondato dal pioniere della ricerca motoristica (soprattutto diesel) sir Ricardo; in Germania l’FKFS (Forschungsinstitut für Kraftfahrwesen und Fahrzeugmotoren ); negli Stati Uniti il NACA (National Advisory Committee for Aeronautic ), e poi, sempre negli Stati Uniti, l’Engine Research Center del Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università del Wisconsin. Era giusto quindi che l’Italia non fosse da meno e in effetti, grazie all’opera del prof. Ferretti e dei suoi collaboratori, l’Istituto Nazionale dei Motori appena inaugurato assunse un ruolo di preminenza nel mondo scientifico internazionale, per le sue ricerche particolarmente avanzate e innovative, ruolo che avrebbe conservato negli anni a venire e che conserva tuttora. L’Italia che stava perdendo la guerra, vinceva nel campo della scienza e della tecnica.
A questo punto è opportuno parlare concretamente di qualcuna delle importanti realizzazione del periodo iniziale della vita dell’Istituto, quello in cui, per intenderci, il problema più importante da risolvere era la ricerca di carburanti alternativi. Nella ricca biblioteca dell’Istituto abbiamo rinvenuto alcune memorie di Pericle Ferretti, una delle quali del 1938, quindi addirittura anteriore alla fondazione, è intitolata “I gas combustibili nazionali e l’alimentazione dei motori”. Ci ha stupito per la freschezza e l’attualità che questo scritto conserva a settant’anni dalla sua pubblicazione. Senza scendere in dettagli tecnici, vorrei citare un paragrafo dello studio dove si parla di combustibili gassosi “ottenuti da distillazioni”. Riporto fedelmente una piccola parte del testo: “Dal punto di vista autarchico hanno importanza quelli (i gas) che potrebbero ottenersi da distillazione di combustibili nazionali, carboni fossili italiani, legna, ligniti, torba e cascami. Tra questi ultimi è interessante accennare ad una iniziativa italiana che sembra abbia dato promettenti risultati mediante la distillazione in apposite storte dei materiali residui delle città (spazzature); da 100 Kg di materiale si sarebbero ottenuti 13 m3 di gas a 3100 calorie/m3. Se il sistema si mostrerà suscettibile di realizzazione su grande scala, si renderà disponibile in una città per es. di un milione di abitanti una quantità di gas combustibile equivalente a circa 12 – 14 tonnellate di benzina al giorno”. C’è da restare esterrefatti: settanta anni fa si era già pensato a come smaltire la spazzatura e a trasformarla da costo in ricchezza. Certo allora il paese era pressato da urgenze improcrastinabili: c’era una guerra imminente, c’erano le sanzioni, bisognava trovare delle soluzioni immediate. Ma siamo proprio sicuri che oggi le condizioni siano molto diverse? Il petrolio a più di 100 dollari al barile non rappresenta forse una sorta di sanzioni che i paesi produttori ci impongono? E non è forse una guerra, neanche tanto occulta, quella che i cosiddetti paesi emergenti hanno dichiarato alla nostra grande ma vecchia e stanca civiltà? Allora Napoli e l’Istituto Nazionale dei Motori si presentavano come un centro di eccellenza per la soluzione dei problemi energetici. I risultati scientifici conseguiti dall’Istituto ne fanno ancora oggi un punto di riferimento nel panorama internazionale. Ma Napoli, che fine ha fatto Napoli? La città di un milione di abitanti, a cui pensava il prof. Pericle Ferretti, era – si capisce benissimo – proprio la nostra città. La nostra città che oggi, invece di affrancarsi dai bisogni energetici trasformando i propri rifiuti, ne è completamente sommersa. E ne è sommersa tutta la Campania, diventata la pattumiera d’Italia e soprattutto una vergogna nazionale, che anzi ha danneggiato l’immagine dell’Italia intera.E questo avviene in un contesto mondiale in cui il problema dei rifiuti non è più un problema da nessuna parte, perché sono state adottate innumerevoli soluzioni tecniche per trasformarli in energia e cioè in denaro sonante. Esistono ormai piccoli termovalorizzatori, addirittura camionabili, che sono alla portata di qualunque cittadina, anche minuscola. E infatti tutta l’Europa ne è piena. Esistono termovalorizzatori che sono delle vere opere d’arte, firmate da grandi architetti, come quello installato nel centro di Vienna. A Napoli e in Campania invece tutto questo non è possibile, anche perché – come pochi sanno – alcuni mesi fa la Regione ha promulgato una legge che vieta assolutamente a tutte le amministrazioni locali di dotarsi di mezzi propri per lo smaltimento dei propri rifiuti. Tutto deve essere gestito dalla Regione, attraverso appositi organi di controllo. I risultati di questo tipo di politica sono sotto gli occhi di tutti. E non serve trarre conclusioni: ognuno può farlo da sé, né voglio intristire con considerazioni politiche questa presentazione di una realtà di eccellenza, che nacque a Napoli in un altro tempo e soprattutto con altri uomini.
Paolino Vitolo
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