(Pubblicato su "HERMES - Il messaggero del Cilento" - Palinuro - marzo 2008)
Poco più di due mesi sono passati da quando uscì il precedente numero di Hermes. Era quasi Natale e quindi, alla fine del mio editoriale, volli offrire ai miei affezionati lettori gli auguri più sinceri; ma Natale era solo una scusa, perché di auguri c’era veramente bisogno e purtroppo – devo dire – c’è bisogno ancora oggi. Nessun problema: fra poco è Pasqua ed è di nuovo tempo di auguri. A pensarci bene, però, in questa manciata di giorni qualcosa di buono è accaduto, almeno a livello nazionale, qualcosa che almeno è servito a riaccendere la nostra speranza, che come si sa – ringraziando Dio – è la cosa più dura a morire. Alludo alla caduta del governo Prodi, che ha battuto un record: quello di essere stato protagonista della più breve legislatura della Repubblica italiana. Mai prima d’ora, in oltre sessant’anni di storia, era infatti accaduto che si ritornasse a votare alle elezioni politiche dopo soli due anni. La caduta del governo è stato il più bel regalo per il nuovo anno e me ne rallegro: significa che i miei auguri hanno avuto effetto. Forse perché sono stati dettati dal cuore. Ma veniamo al dunque: le elezioni sono straordinariamente vicine e capita di sentire – com’è ovvio – le cose più strane, come sempre accade durante le campagne elettorali. E la cosa più strana è che la gente, o almeno una parte di essa, sembra crederci. Per questo ho voluto intitolare questo editoriale “Promemoria”, perché, più che dichiarare le mie preferenze politiche (che peraltro tutti conoscono), possa appunto rinfrescare la memoria alla gente, che ha la tendenza a dimenticare rapidamente proprio le cose più importanti.
Ripartiamo da due mesi fa. Allora lamentai che i cosiddetti alleati dell’allora Casa delle Libertà non facessero altro che litigare, dichiarando puntigliosamente le loro differenze e le loro specifiche identità. Era una situazione a dir poco estenuante, perché i signori succitati facevano esattamente il contrario di quello che noi elettori gli avevamo detto non solo al momento del voto, ma in ogni occasione politica di una certa portata. Alludo per esempio alla manifestazione di Roma del 2 dicembre 2006, quando più di un milione di persone, con le bandiere di Forza Italia, Alleanza Nazionale, UDC, Lega Nord e altri ancora, sfilarono per le strade di Roma, superando i confini dei rispettivi partiti e sentendosi parte di un unico popolo: il cosiddetto popolo della libertà. In verità, già quella sera, sul palco di piazza San Giovanni in Laterano mancava l’on. Casini, leader dell’UDC, nonostante la sua gente fosse nelle strade di Roma insieme con tutta l’altra gente di centro destra. È questo il primo promemoria. Da allora la situazione andò precipitando e, mentre nel centro sinistra si compiva un’operazione obiettivamente brillante come la nascita del PD, da noi si demoliva quello che era stato faticosamente costruito negli ultimi anni. Due mesi fa toccammo il punto più basso.
Poi, quando quasi non ci si sperava più, la caduta del governo Prodi. A posteriori sappiamo benissimo che questo governo portava fin dalla nascita i germi della sua distruzione. Non coalizione, ma accozzaglia delle persone più diverse, dei partiti più diversi, delle esigenze, degli ideali, delle istanze, delle prepotenze più diverse e contrastanti, esso era unito soltanto dal fragile collante dell’odio verso il leader del centro destra Berlusconi. Era fatale che cadesse prima o poi, anche per l’esigua maggioranza che lo aveva eletto, maggioranza di circa 24.000 voti usciti fortunosamente, quasi in un gioco di prestigio alla Mandrake, in quella notte di aprile 2006 dalle urne di Napoli e della Campania. E questo è il secondo promemoria, che ci aiuta anche a spiegare come mai un personaggio a dir poco controverso come Bassolino sia praticamente intoccabile e inattaccabile da qualunque tempesta, sia essa politica, giudiziaria o semplicemente di immondizia. Ma di questo parleremo tra poco. Per ora ci piace notare una curiosa coincidenza, una di quelle simmetrie con cui la storia ama baloccarsi. Il governo Prodi, nato grazie alla Campania, muore a causa della Campania. Mastella, con uno scatto d’orgoglio francamente imprevedibile per un simile personaggio, decide di rompere il fragile giocattolo. Ma scatena una reazione che lui stesso non riesce a controllare, fino a decidere (l’altro ieri al momento in cui scrivo) di non presentarsi alle elezioni. In parole povere nessuno lo vuole, né a destra né a sinistra. Qualcuno si impietosisce e lo considera quasi un capro espiatorio, secondo un copione che dai tempi di Craxi prevede ormai ben poche varianti. Ma a questi smemorati di buon cuore vorrei dedicare il terzo promemoria: Mastella è un famoso saltimbanco, altrimenti detto quaglia saltatrice. Il primo governo che fece cadere fu quello del presidente della Campania Rastrelli, che tanto, tanto tempo fa aveva avviato i progetti esecutivi di cinque “termovalorizzatori”, uno per provincia. E li aveva avviati con le risorse interne della regione, senza consulenze d’oro, senza attivare fantasiosi call center sulla “munnezza”, senza spendere una lira di troppo. Ma evidentemente non andava bene: Mastella uscì dalla maggiornaza facendo cadere il governo Rastrelli voluto democraticamente dai cittadini e insediò al suo posto uno sconosciuto di nome Losco. Ecco la sublime nemesi della storia: dopo ben quindici anni il problema “munnezza” si ritorce contro chi aveva contribuito a farlo nascere.
Cambiamo argomento. Oltre alla caduta del governo Prodi c’è un altro motivo alla nostra soddisfazione: i due principali contendenti della tenzone elettorale in pieno svolgimento hanno dimostrato finalmente di voler assecondare la volontà della maggioranza degli italiani, siano essi di destra o di sinistra. Siamo stanchi di centinaia di partiti e partitini, vorremmo soltanto due contendenti, come negli Stati Uniti d’America o come nel Regno Unito, con programmi chiari e con candidati leader definiti e conosciuti prima e non dopo le elezioni. Per i soliti smemorati, solo quindici anni fa, prima di tangentopoli per intenderci, il cittadino che andava a votare era conscio di avere solo una minima influenza sul risultato finale. Chiunque vincesse (e tutti vincevano sempre, se ricordate bene) il governo e il suo capo uscivano fuori da cabale incomprensibili e non certo dalle urne elettorali. Questo che vi ho appena dato è appunto il quarto promemoria. Quel periodo di falsa democrazia gode ancora della struggente nostalgia di molti, troppi rappresentanti della “casta”. Di quelli che fondano un partito per godere dei finanziamenti pubblici; degli “uno virgola zero percento” che con queste esigue percentuali sognano di fare l’ago della bilancia (e ci riescono pure); di quelli che ancora vorrebbero il cosiddetto “grande centro” in alternativa alla destra e alla sinistra, senza pensare che alla maggioranza degli italiani due partiti bastano a avanzano. Anche perché chi fatica ad arrivare alla fine del mese, pur lavorando come un negro, non solo non gradisce gli esosi privilegi della casta, ma ancor meno è contento che essi siano addirittura moltiplicati per un numero esorbitante di partiti per lo più inutili.A questo proposito vorrei citare un piccolo aneddoto, che mi ha molto colpito perché a torto o a ragione me ne sono sentito in qualche modo coinvolto. Voi sapete, amici che mi leggete, che le spese di stampa di Hermes, peraltro esigue grazie al volontariato del sottoscritto che effettua la composizione del giornale, sono coperte da una specie di colletta che facciamo tra di noi e dai contributi volontari di alcuni amici, di cui in cambio pubblichiamo dei trafiletti pubblicitari. Bene, un qualsiasi partito che prenda più dell’1% ha diritto per legge a stampare un giornale finanziato dallo Stato, cioè da noi. Per farla breve, il giornale dell’UDEUR di Mastella, “Il Campanile”, tira 5000 copie al giorno, di cui vengono distribuite 1500, che comunque pare non legga nessuno. Per inciso Hermes tira, quando esce, 1000 copie, che vengono lette eccome! Hermes si stampa con una manciata di euro, mentre Il Campanile riceve dai contribuenti ben 1.331.000 euro all’anno. Non voglio annoiarvi oltre: mi basta dire che sono queste le cose che vorremmo finissero per sempre e credo che diminuendo il numero dei partiti siamo sulla strada buona. Per concludere il ragionamento, questo è il motivo per cui plaudiamo alla nascita di grandi formazioni, come il PD e il PDL, che su sponde opposte riuniscono le molte anime degli elettori in nome di alcuni ideali comuni. Pochi ideali comuni che sono quelli che poi servono per governare. Gli individualismi esasperati non servono per questo, anche se è lecito coltivarli nei nostri cuori.
Veniamo dunque alla campagna elettorale in corso, cominciando ad analizzare i fatti e le condizioni al contorno, come si conviene in qualsiasi analisi che abbia un minimo di serietà. Innanzi tutto ribadiamo l’apprezzamento nei riguardi dei due canditati principali che hanno dichiarato e dimostrato con le loro azioni di voler semplificare il quadro politico diminuendo il numero dei partiti, secondo le intenzioni della maggioranza degli italiani. Poi passiamo ai fatti: l’Italia è in una condizione di recessione paurosa, il potere d’acquisto è sceso al minimo e di conseguenza l’economia è in fase calante. È ovvio che ciò dipende anche dalle condizioni al contorno, cioè dalla situazione mondiale (petrolio ai massimi, dollaro ed economia americana ai minimi storici), ma il governo uscente ha sicuramente le sue colpe. Ammettiamo pure che il governo precedente di Berlusconi non abbia utilizzato appieno i cinque anni (anche questo è un record) in cui è stato al potere per realizzare il suo programma, ma almeno qualcosa di buono l’ha fatto. Per citare qualche esempio, la pressione fiscale è obiettivamente diminuita, sono state avviate molte grandi opere, il mercato del lavoro è stato liberato da molte pastoie medioevali e di conseguenza la disoccupazione è diminuita. Qualcuno potrà obiettare che si poteva fare di più, invece di sprecare un bel po’ di tempo per cercare di aggiustare le vicende giudiziarie di qualche amico (vedi Previti, per esempio), ma nel complesso le cose sono andate bene. Tanto è vero che nelle elezioni di due anni fa la Casa delle Libertà, pur considerata spacciata da molti superesperti, ha preso la maggioranza dei voti. In sostanza ha vinto e solo le misteriose alchimie di una legge elettorale contorta, accoppiate ad una serie di errori e di ingenuità, hanno potuto consegnare il governo del paese alla parte che in realtà aveva preso meno voti. Comunque, al di là di queste noiose e ormai inutili considerazioni, nell’aprile del 2006 ci fu una sostanziale parità ed ebbe ragione quindi Berlusconi a proporre un governo di larghe intese o “governissimo” o grande coalizione che dir si voglia. Ma, se ben ricordate, Prodi rifiutò sdegnosamente un’ipotesi del genere e volle governare da solo, pur con l’esigua maggioranza che poi l’ha portato alla catastrofe. L’avete capito: questo è il quinto promemoria. Quando Veltroni, mettendo le mani avanti, dichiara che in caso di sostanziale parità bisogna governare insieme, si ricordi anche lui che cosa rispose il presidente in carica del suo partito, quando due anni fa si verificò esattamente la stessa situazione. E qui vorrei aggiungere un’ulteriore considerazione: quando Veltroni, con la sua faccia da bravo (ex) ragazzo, cerca di far dimenticare la faccia obiettivamente più antipatica del suo predecessore Prodi, ricordiamoci che quest’ultimo è e resta il presidente del PD. Quindi Veltroni non rappresenta nulla di nuovo e nulla di diverso rispetto al governo che ha portato l’Italia all’attuale catastrofe. Vi ho appena enunciato il sesto promemoria.
Si obietta da più parti che i programmi elettorali dei due principali partiti sono l’uno fotocopia dell’altro. Può darsi che ciò sia vero, almeno in parte, ma, anche qui, per dare un giudizio sereno, dobbiamo fare ancora un piccolo sforzo di memoria. Il programma di Berlusconi è in sostanza lo stesso di quello di sette anni fa: riduzione fiscale, riduzione delle spese dello Stato, costruzioni di grandi opere, snellimento del mercato del lavoro e così via. Improvvisamente però dall’altra parte Veltroni si mette a dire le stesse cose. A chi dobbiamo credere e perché dovremmo preferire l’uno o l’altro? Bene, qui ci soccorre il settimo promemoria: Berlusconi ha enunciato questo programma sette anni fa e l’ha realizzato almeno in parte; Veltroni, invece, o meglio la forza politica che rappresenta (a quei tempi faceva il sindaco di Roma) nei due anni in cui ha governato ha fatto esattamente il contrario. Ha inasprito la pressione fiscale, anche con una certa furbizia, togliendo risorse agli enti locali e costringendoli ad aumentare le tasse e dandogliene anche la possibilità (nel settimo promemoria c’è anche lo sblocco delle rendite catastali, che porterebbe ad un aumento pauroso dell’ICI, sempre se Veltroni dovesse vincere); ha aumentato le spese dello Stato, portando ad un massimo storico il numero dei ministri, dei sottosegretari, dei portaborse e così via; ha bloccato e a volte addirittura azzerato i cantieri delle grandi opere; ha cercato in tutti modi di affossare la legge 30, la cosiddetta legge Biagi, distruggendo i benefici effetti che essa stava producendo nel mercato del lavoro. Ed ora Veltroni ha la faccia tosta di prometterci tutto il contrario di quello che il suo predecessore e suo attuale capo ha fatto? È vero che ha una faccia simpatica, che è molto chic, che parla senza inflessioni dialettali, che ogni tanto snocciola anche la frasetta in inglese, che si sente tanto Democratic Party americano, ma gli italiani non sono fessi. A volte dimenticano – è vero -, ma per questo ci sono i promemoria.
Non vorrei annoiare i miei pazienti lettori, ma a questo punto devo affrontare un discorso un po’ più tecnico. Quando Prodi nel 2006 insediò i due ministri dell’economia Visco e Padoa Schioppa, dichiarò che l’Italia aveva un deficit del 4,4%, per dimostrare che Berlusconi gli aveva lasciato una situazione catastrofica. Soltanto oggi, dopo due anni, l’ISTAT ha finalmente sbugiardato gli squallidi personaggi di cui sopra, dichiarando che il deficit dell’epoca era solo del 3,4%, cioè di un punto in meno, che, anche se sembra poco, rappresenta una cifra astronomica pari a circa 10 miliardi di euro. La differenza è dovuta al fatto che nel 2006 Prodi e suoi accoliti dichiararono, mentendo spudoratamente, di aver pagato 17,2 miliardi di euro di rimborsi IVA per le auto aziendali, in base ad una sentenza della Corte di giustizia europea del 2006. In effetti di questi presunti rimborsi non era stato pagato neanche un centesimo, perché la sentenza europea era stata appena promulgata e tecnicamente nessuna azienda aveva potuto chiedere il rimborso. E anche negli anni successivi, grazie ai lacci e lacciuoli messi in opera dalla coppia transilvanica dei ministri dell’economia, le richieste di rimborso sono state di appena 847 milioni (la ventesima parte di quanto falsamente dichiarato in anticipo). Ma non finisce qui: c’è ancora un altro imbroglio (e oggi l’ISTAT si è fatto uscire anche questo). Come se non bastasse, i ministri dell’economia caricarono nel bilancio del 2006 anche la spesa di 13 miliardi di euro a titolo di contributi a fondo perduto alle Ferrovie dello Stato, contributi erogati con la legge finanziaria 2007 e che quindi avrebbero dovuto gravare sul 2007 e non sul 2006. Il trucco contabile fu semplicissimo: poiché la finanziaria 2007 fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 27 dicembre 2006, si fece gravare una spesa futura sul bilancio del 2006, quando invece Berlusconi era andato a casa già da otto mesi. Per farla breve questa spesa corrisponde ad un altro 0,8 % del PIL, per cui il deficit lasciato da Berlusconi era solo del 2,6%. Lo dice adesso l’ISTAT, organismo sicuramente imparziale. Infine, poiché ciò che si toglie dall’anno precedente si aggiunge al successivo, il deficit lasciato dai transilvanici non è dell’1,9%, come da essi dichiarato, ma del 2,7%. Il tutto a fronte di un aumento della pressione fiscale dell’1,2%. Quindi se la matematica non è un’opinione, poiché Prodi ha fatto aumentare il deficit dello 0,1% pur aumentando le tasse dell’1,2%, ciò significa che la spesa è aumentata dell’1,3%. Bel risultato, soprattutto per chi dice di voler diminuire le spese!
Veniamo infine alla situazione di casa nostra. Purtroppo possiamo constatare con i nostri occhi che l’emergenza rifiuti non è stata risolta, né si vede come possa esserlo nel prossimo futuro. Aspettiamo con terrore il caldo che verrà tra poco, perché allora l’immondizia per le strade non sarà più tollerabile. E il responsabile di tutto questo, quello che ha dilapidato miliardi solo per arricchire uno stuolo di consulenti del suo giro, dichiara candidamente di non volersi dimettere. Bassolino è finito sotto processo (anche se ci sembra improbabile che sia condannato), ma siamo certi che, se per assurdo andasse in galera, pretenderebbe di governare pure da Poggioreale. Bene, ed è questo l’ottavo promemoria, Bassolino è un esponente di spicco del PD, del partito del Veltroni dalla faccia per bene, ed è anche un esponente intoccabile, che perfino il vecchio volpone D’Alema difende a spada tratta. Non sappiamo le ragioni di tanto potere, possiamo solo provare a immaginarle e per questo invito i lettori di tornare a rileggersi il secondo promemoria.
Concludiamo con una considerazione semplicissima: tenendo conto di questi otto promemoria (che sicuramente non sono nemmeno esaustivi) ci sembra strano come i sondaggi preelettorali diano vincente Berlusconi di solo dieci punti su Veltroni. Quest’ultimo invece va in giro a predicare che il distacco si sta riducendo sempre più (poco fa è arrivato a quattro punti). Dobbiamo concludere che in questa storia c’è qualcuno che mente, con una certa classe, ma spudoratamente. Ricordiamoci anche di questo fra un mesetto, quando andremo a votare. E chiamiamolo pure nono promemoria.
Paolino Vitolo
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