(Pubblicato su "HERMES - Il messaggero del Cilento" - Palinuro - aprile 2009)
Aspettavamo questo momento da molti anni, anzi da lustri, anzi da decenni. Da quando ci guardammo intorno e cominciammo ad usare la ragione per cose un po’ più profonde del cantante preferito o della ragazzina bionda che non ci guardava nemmeno in faccia. Da quando cominciammo a interessarci di politica e cercammo di capire e giudicare le ragioni di chi pretendeva di governarci e che bene o male influenzava la nostra vita. E in un mondo in cui tutti si proclamavano democratici, cominciammo a capire che anche la democrazia, come tutti i concetti astratti, poteva assumere gli aspetti più diversi. Da una parte c’era chi affermava che, poiché democrazia significa “governo del popolo” e poiché chi governava diceva di farlo in nome del popolo, non era assolutamente necessario perdere tempo con la politica e con i partiti: c’era il partito del popolo e basta. Dall’altra parte si affermava invece che il popolo, proprio perché costituito da una miriade di individui con le idee più diverse, aveva il diritto, anzi il dovere di eleggere i propri rappresentanti, che sapessero interpretare la volontà della maggioranza. Capimmo così che la democrazia implicava un concetto aritmetico, cioè la necessità di contarsi, ma anche quella di raggrupparsi in gruppi più o meno omogenei che consentissero di evidenziare delle idee comuni e di farle valere. Questi erano e sono i partiti, che nei paesi anglosassoni si riducevano a due o al massimo a tre, mentre da noi, individualisti per eccellenza, divennero subito venti, trenta, quaranta. Per molti anni, lustri, decenni invidiammo la semplicità delle democrazie anglosassoni. Per molti anni andammo a votare ben sapendo che il nostro voto non avrebbe potuto cambiare nulla o quasi nulla. Noi votavamo per un partito, per un candidato e poi quel partito sceglieva con chi allearsi per poter raggiungere il peso specifico necessario a governare, che da solo non avrebbe mai potuto avere. Questa era una finzione, una caricatura della democrazia, che, come tutte le esagerazioni, annullava completamente il concetto originario: il popolo non contava e non decideva nulla.
Il plurale che ho usato finora non è assolutamente un plurale maiestatis: esso significa semplicemente che la maggioranza degli italiani propende per una semplificazione del panorama politico e sarebbe lieta se, come negli USA o nel Regno Unito, i partiti fossero solo due. Lo dimostrammo già tanti anni con un famoso referendum che portò ad una variazione della legge elettorale, che per lo meno favorì l’aggregazione dei partiti con idee simili e provocò la nascita delle coalizioni elettorali. Questo è il cosiddetto bipolarismo, non certo il bipartitismo, che è un obiettivo ancora lontano, ma la nascita del Popolo delle Libertà l’ha certamente avvicinato. Il PdL, che ha visto ufficialmente la luce domenica 29 marzo 2009, non è infatti una coalizione, ma è un partito unico in cui sono confluite la maggior parte delle forze politiche di destra. Diamo atto alla sinistra di aver tracciato la strada con la nascita del Partito Democratico, ma dobbiamo dire che già cercare di far stare insieme cattolici e riformisti di sinistra è stata un’impresa difficilissima. Aggregare al PD anche le sinistre estreme è stato assolutamente impossibile.
Le ragioni di queste difficoltà sono molto semplici:qualsiasi alleanza o coesione è impossibile quando le idee sono molto diverse e quando l’unico collante è l’odio contro qualcosa o contro qualcuno. Si può stare insieme per costruire, non certo per distruggere. Sappiamo bene che la sinistra è stata capace soltanto di creare delle coalizioni elettorali, e nemmeno contro i partiti della destra, ma unicamente contro Berlusconi. Per assurdo, se non ci fosse Berlusconi, le varie anime della sinistra non riuscirebbero nemmeno ad elaborare un programma elettorale comune.
Del resto questo modo di tenere insieme le forze più diverse e le individualità più opposte ha dei precedenti e delle radici che non posso definire storiche, perché ad esse si fa riferimento ancora oggi. Esse si riassumono in una sola parola, che abbiamo udito fino alla noia, anzi alla nausea e al disgusto: antifascismo. Come se il fascismo non fosse morto e sepolto da quasi settant’anni, e come se non fosse evidente che i fascisti, se ce ne sono ancora, siano ormai pochissimi, non fosse altro che per motivi anagrafici. Eppure ancora oggi, decimo anno del terzo millennio, abbiamo dovuto sentire le commemorazioni del presidente della Repubblica Napolitano davanti alle cosiddette fosse Ardeatine, dove molti innocenti furono uccisi per mano dei nazisti, che applicarono una legge di guerra, ingiusta ma pur sempre legge. E ancor oggi, decimo anno del terzo millennio, non abbiamo potuto sentire dallo stesso presidente Napolitano che quella strage fu voluta e artatamente provocata da tre comunisti, che uccisero in un vigliacco attentato un gruppo di anziani riservisti altoatesini (quindi italiani a tutti gli effetti) che transitavano per la famosa via Rasella a Roma. Per evitare la strage delle Fosse Ardeatine sarebbe bastato che i tre comunisti si costituissero alle autorità, comportandosi così da eroi. Ma essi eroi non erano e inoltre avevano una missione ben precisa: provocare la rappresaglia più feroce possibile e contribuire così alla creazione del mito dell’antifascismo. Questo è solo un esempio di come senza nemmeno far uso di menzogna, ma semplicemente omettendo una parte di verità, si possa stravolgere il significato di tutta la storia. Si tratta di una tecnica raffinata, codificata addirittura dal padre del bolscevismo Lenin, che affermava, a ragione, che una menzogna opportunamente reiterata diventa verità. Sulla parola “antifascismo” la politica italiana, o almeno la parte deteriore di essa, ci ha campato quasi settant’anni, ma ora è il momento di dire basta. Ora è il momento della politica delle idee, del lavoro, dei progetti e della collaborazione. La politica dell’odio, la politica degli “anti” è finita per sempre. Qualunque partito - e lo si è visto - che voglia continuare a cavalcare l’odio, è destinato a soccombere.
Facciamo in modo che la nascita del bipolarismo, preludio al bipartitismo, non significhi soltanto migliorare la qualità della democrazia italiana, permettendo agli elettori di decidere realmente sulla scelta dei propri rappresentanti, ma segni anche la fine della guerra civile, che ha insanguinato la nostra patria, non solo in senso figurato, negli ultimi settant’anni. Per questo, bene ha fatto Fini, nel suo discorso all’assemblea costituente del PdL a non pronunciare mai le due parole antifascismo ed anticomunismo. Le ideologie a cui i due “anti” fanno riferimento dovrebbero essere ormai consegnate alla storia e così le loro antagoniste. Per quanto riguarda il fascismo l’operazione è già stata felicemente completata e proprio per questo non è lecito agitare spauracchi anacronistici per puri scopi elettorali e comunque di bassa politica: gli elettori non sono stupidi e stanno dimostrando sempre di più che non si lasciano ingannare. Sul lato opposto, quello comunista, dobbiamo dire purtroppo che i nostalgici sono più numerosi e quindi, proprio a causa del meccanismo aritmetico della democrazia, più pericolosi. C’è da dire inoltre che i regimi di stampo comunista o che ancora si rifanno a questa arcaica ideologia, pur largamente condannata dalla storia, sono ancora numerosi e potenti nel mondo. E’ proprio per questo che non sono leciti alcuni tentativi, fatti anche da personaggi di grande peso culturale, di “rivoltare la pizza”. Mi riferisco in particolare ad un articolo di fondo a firma di Ernesto Galli della Loggia apparso sul Corriere della Sera di domenica 29 marzo. Nel pezzo citato si afferma che Berlusconi, avendo spesso nominato nel suo discorso l’anticomunismo come una delle basi ideologiche del PdL, non farebbe altro che ripetere la vecchia politica dei governi del passato che basavano il loro potere sull’antifascismo. La tesi è suggestiva, ma, ragionandoci appena un po’, si rivela assolutamente falsa. Il PdL, a differenza di quanto avveniva in passato, non vuole governare demonizzando ed escludendo l’opposizione. C’è qualcuno che ricorda il famoso “arco costituzionale”: chi è dentro comanda e chi è fuori non ha neanche il diritto di esistere? Beh, oggi non è più così: il PdL, pur dall’alto della sua maggioranza democratica, vuole collaborare con l’opposizione. Il PdL, come pure una sana opposizione, vogliono lavorare, insieme se è possibile, ma comunque vogliono lavorare. Le forze sane del paese vogliono produrre, crescere, vincere la crisi, realizzare le opere, risolvere i problemi, premiare il merito e punire il demerito, sconfiggere la delinquenza, incrementare la soddisfazione e la felicità, accrescere la fiducia e la speranza. E le forze sane – si badi bene – non sono solo nel PdL, ma anche nell’opposizione o, per meglio dire, in quella che io chiamo sana opposizione, cioè opposizione in buona fede. Solo così, rispettando l’etica alla base di una sana democrazia, l’opposizione può sperare un giorno di diventare maggioranza di governo. Col bipolarismo questo è possibile e, chiunque vinca, sarà sempre il cittadino a guadagnarci. Il comunismo, quello a cui esattamente si riferiva Berlusconi nel suo discorso, non è un partito politico. Esso è la negazione di tutti i valori in cui ogni persona onesta e lavoratrice crede. Esso è la politica del non fare, del non premiare, dell’impedire lo sviluppo, del mortificare le eccellenze, del distruggere la speranza, dell’infelicità, della falsità, della menzogna: in una parola è la morte della libertà. Quindi l’anticomunismo non ci serve come spauracchio per mantenere il potere, perché è semplicemente una tautologia che il Popolo della Libertà sia anticomunista.
Ricordiamo che solo un anno fa sedevano ancora in Parlamento dei personaggi che si vantavano della loro appartenenza all‘ideologia comunista deteriore. Il popolo ne ha democraticamente fatto giustizia ed oggi essi non hanno rappresentanza parlamentare. Quindi non è questa l’opposizione che il PdL teme, per il semplice fatto che essa non esiste. Il PdL invece rispetta l’opposizione parlamentare, che si chiami PD o in altro modo. Il PdL sollecita la collaborazione e il confronto con questa opposizione. Se riusciremo in questo, avremo fatto un altro passo verso la vera Democrazia.
Paolino Vitolo
paolino.vitolo@fastwebnet.it