(IL CERCHIO - gennaio-aprile 2010)
Capitolo 2 – Vatolla
Iniziammo la corrispondenza dal Cilento da Palinuro, perché in qualche modo è ancora vista come la capitale o, meglio, il baricentro del Cilento moderno, nonostante la splendida realtà del Club Mediterranée, che le dette fama internazionale, sia ormai solo un pallido ricordo. Ci spostiamo oggi molto più a nord, presso il confine settentrionale del Cilento e del Parco Nazionale, in un luogo che già era conosciuto nel XVII secolo, essendo appena al di là di Paestum, che rappresentava tradizionalmente la meta estrema dei viaggiatori del Grand Tour.
Vatolla è oggi una minuscola frazione del minuscolo comune di Perdifumo, ma deve la sua fama al grande filosofo e pensatore napoletano Giambattista Vico, che visse qui dal 1686 al 1695, presso il castello dei Rocca (oggi De Vargas Machuca), in qualità di precettore dei figli del barone Rocca di Amato.
Vatolla, l'antichissima "Vicus Vatulanus", ha origini remote che si perdono nel tempo. I residui ancora evidenti di epoca romana, le iscrizioni marmoree relative ai primi secoli dell'era Volgare riportate da storici come l'Antonini e il Carcia, la tradizione orale che narra come la chiesa parrocchiale fosse stata costruita su un tempio pagano fanno ritenere che Vatolla esistesse già ai tempi dell'Impero Romano e che sia uno dei paesi più antichi del Cilento. La prima notizia storicamente accertata si evince da un documento del 994, con il quale i principi longobardi di Salerno Giovanni e Guaimario donavano ad Andrea, abate del monastero di San Magno, terre, case, uomini e boschi. Tuttavia è da supporre che prima dell'anno 1000 esistesse già un piccolo borgo arroccato attorno al castello. La presenza di quest'ultimo infatti fa ritenere che a Vatolla, nel primo periodo della dominazione longobarda (700-750) si sia insediata una "arimannia", cioè una guarnigione di confine caratteristica dell'ordinamento militare dei longobardi e che successivamente, essendo cessato il dominio bizantino nella zona di Agropoli e Maretima, essa si sia trasformata in "fara", cioè nella forma abitativa civile che conciliava l'attività agricola con l'eventuale servizio armato. Il paese fu dunque uno di quei "castelli" longobardi che, nelle alterne vicende di due o tre secoli, furono più volte smobilitati e fortificati assumendo o perdendo alternativamente i compiti strategici di avamposti nel complesso difensivo, che interessò prima la capitale del Gastaldato, poi quella dell'Actus ed infine quella della Baronia. Passata ai Sanseverino dal 1110 al 1350, subì le sorti di questa nobile famiglia, nella buona e nell'avversa fortuna. Nel 1535, con la fellonia di Ferrante Sanseverino, Vatolla, già da tempo feudo della famiglia Griso, venne confiscata dalla Corona e venduta ad Antonio Del Pezzo, che dieci anni dopo la cedette ai Griso in cambio di Camella.
L'assetto urbanistico contemporaneo si delinea solamente intorno al 1500, avendo conservato fino ad allora l'aspetto di un piccolo fortilizio, per cui ancora oggi il paese conserva una forma tipicamente medievale. Tra il 1565 e il 1660 la famiglia Griso costruì il castello con le strutture attuali e nel 1619 fu iniziata la costruzione del convento. Con la morte senza eredi di Antonio Griso nel 1660, la Corte vendette il feudo di Vatolla a Giovanni Rocca, i cui eredi lo tennero fino al 1767. Fu durante questo periodo, e precisamente tra il 1685 e il 1694, che soggiornò a Vatolla Giambattista Vico come precettore dei figli di Domenico Rocca. Nel 1767 l'ultima discendente dei Rocca, Giacinta, donò il feudo a suo cugino Francesco De Vargas Machuca i cui eredi sono ancora proprietari di gran parte del territorio vatollese oltre che del magnifico castello.
Giambattista Vico nacque a Napoli il 23 giugno 1668 da Antonio e Candida Fasullo, sesto di otto figli. Il padre Antonio, proveniente da Maddaloni, era un libraio, proprietario di una bottega sulla strada di San Biagio, sottostante l'abitazione. Forse fu proprio in questa libreria che, sul finire del 1685, il diciottenne Giambattista, già di professione avvocato, incontrò il vescovo di Ischia Geronimo Rocca, fratello del castellano di Vatolla Domenico. Il vescovo rimase colpito dalla cultura e dall’intelligenza del giovane e lo propose al fratello come precettore dei suoi quattro figli Francesco, Saverio, Carloantonio e Giulia. E fu così che il filosofo napoletano si trasferì per nove anni in quello sperduto paese del Cilento, al quale sarebbe sempre rimasto legato da un rapporto di odio e amore. Egli viveva naturalmente al castello, ma amava frequentare il vicino Convento della Pietà. Nel piazzale del convento, circondato di secolari ulivi cilentani, così diversi dai loro cugini toscani o pugliesi perché più simili a querce che a ulivi, il Vico amava raccogliersi in meditazione e immergersi negli studi filosofici. Fu proprio nella pace di questo luogo che il filosofo concepì l’opera che lo rese immortale, la “Scienza nuova”, come cita egli stesso nella sua Autobiografia scritta in terza persona, dalla quale si evince anche il suo amore per Vatolla: “bellissimo sito di perfectissima aria, dalla quale fu restituito alla salute ed ebbe tutto l'agio di studiare e gettare le basi della Scienza Nuova”. In altri scritti del Vico, a conferma di un rapporto tormentato con il luogo che lo ospitava, si legge invece di Vatolla: “aspra Selva solinga arida e mesta” (Affetti di un disperato, 1692).
La lettura di quest’opera “Affetti di un disperato” ci fa però comprendere che la tristezza del filosofo non derivava tanto dalla solitudine o dall’asprezza del luogo, quanto dal suo amore non corrisposto verso la sua bellissima allieva Giulia Rocca. Si trattava ovviamente di un amore impossibile: Giulia avrebbe sposato nel 1695 un gentiluomo del suo rango, Giulio Cesare Mezzacane, Principe di Omignano. Lo stesso Giambattista Vico, quasi a obbedire alla tragica ironia della realtà, compose un epitalamio per queste nozze e subito dopo lasciò Vatolla per sempre e tornò a Napoli. Questo è naturalmente l’aspetto romantico della vicenda, che ci è piaciuto sottolineare, ma forse, più prosaicamente, il Vico tornò a Napoli semplicemente perché il suo compito di precettore, con la raggiunta maggiore età dei suoi alunni, era ormai terminato. A Napoli vinse un concorso all’Università come docente di retorica, si sposò ed ebbe ben otto figli, ed ebbe persino modo di occuparsi del suo antico alunno Saverio Rocca, anche se per motivi tragici. Il giovane, infatti, fu coinvolto nella cosiddetta congiura della Macchia, insieme con altri nobili napoletani che volevano trasformare il Regno di Napoli da provincia della Spagna a stato indipendente sotto la reggenza di un figlio dell’imperatore d’Austria.
L’idea fondante della “Scienza nuova”, basata sulla scienza della storia intesa come creazione dell’uomo, capace di forgiare la sua stessa realtà (“verum et factum convertuntur”), nacque nella quiete di Vatolla, sotto un olivo secolare che forse ancor oggi vive nel piazzale del convento della Pietà e che ancor oggi gli abitanti del luogo ricordano come “l’ulivo del Vico”. Ma, oltre all’ulivo, a ricordo imperituro di Giambattista Vico, resta a Vatolla il castello De Vargas, completamente restaurato e trasformato in una delle sedi più prestigiose della Fondazione Giambattista Vico. Questa fondazione, coerentemente con la sua missione e la sua tradizione, ha qui istituito una Scuola di Alta Formazione e gestisce una ricca biblioteca del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano dotata di circa 15.000 volumi di altissimo valore storico.
Bibliografia
Antonio Malandrino, “Vatolla. Dalle origini al 1900”
Antonio Malandrino, “G.B. Vico. Un ospite d’eccezione della terra di Vatolla”
(2 – continua)
Paolino Vitolo
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