(IL CERCHIO - ottobre 2010)
Il nostro cammino ideale nel Cilento, dopo Vatolla, piccolo centro collinare ancora pervaso dal ricordo di Giambattista Vico, che fu qui precettore dei figli del feudatario locale, ci conduce ora nuovamente verso il mare, nel comune di Ascea, adagiato mollemente su una collina coperta di ulivi, ai cui piedi si stende un’ampia spiaggia di sabbia chiara, orlata dalle case della Marina. Poco più a nord il fiume Alento, quello che dette il nome all’intera regione (cis Alentum = al di qua dell’Alento), taglia in due la spiaggia per gettarsi nelle onde del Tirreno. A poche centinaia di metri dalla foce, una ripida collina, sormontata da una torre e dalle rovine di un castello dei Sanseverino, custodisce l’acropoli di Elea, colonia greca fondata nel 545 a.C. dagli abitanti di Focea, città greca dell’Asia Minore (nell’attuale golfo di Smirne), che da essa fuggirono perché minacciati dai Persiani del re Ciro il grande. Dopo soli cinque anni, infatti, nel 540 a.C., la metropolis dei Focesi fu distrutta dai Persiani, ma la nuova patria nella Magna Grecia non fece rimpiangere l’antica, tutt’altro! Il nome originale della città aveva un’interessante particolarità: l’alfabeto greco dei fondatori era di tipo arcaico e conteneva ancora la lettera F, detta digamma, poi scomparsa, che si pronunciava come la nostra v. Il primo nome si scriveva dunque e si pronunciava pressappoco “vele”. Nelle trascrizioni successive, come quella dello storico e geografo greco Strabone, che per primo parla della città, poiché il digamma non esisteva più, l’iniziale del nome fu trasformata in Y ed il nome fu erroneamente trascritto come in alfabeto greco, e come Hyele in alfabeto latino. Dalla confusione tra il nome esatto e quello trascritto male derivò la doppia denominazione della città, conosciuta indifferentemente come Elea o come Velia. La toponomastica dei dintorni della città ricorda tuttavia il nome esatto (Novi Velia, Casalvelino, Velina). Comunque sia, la città crebbe e si sviluppò, grazie anche all’ottimo porto naturale, oggi scomparso a causa delle deiezioni del fiume Alento.
In questo contesto a Velia si sviluppò una delle principali scuole filosofiche presocratiche, la cosiddetta scuola eleatica, fondata dal filosofo Parmenide insieme con il suo discepolo Zenone. Poco si conosce della vita di Parmenide, se non che nacque proprio a Velia da famiglia aristocratica e che in gioventù fu forse discepolo di Senofane di Colofone. Senofane è conosciuto come il primo filosofo che osò criticare la comune credenza dell’epoca, quella dell’antropomorfismo religioso, quale ci appare dai poemi di Omero e di Esiodo, popolati da dei e semidei con fattezze e sentimenti umani. Senofane esprime per la prima volta il concetto di un dio universo e quindi di un essere assoluto. Parmenide di Elea sviluppa e porta alle estreme conseguenze questa idea: l’essere è per definizione ciò che è e non è possibile che non sia, mentre al contrario il non essere è ciò che non è ed è necessario che non sia. Da ciò deriva che l’essere non ha principio e non ha fine, perché altrimenti ci sarebbe un momento, nel passato o nel futuro, in cui il non essere esisterebbe, e ciò è falso per definizione. L’essere è quindi immutabile, perfetto, senza inizio e senza fine e il divenire non esiste: è soltanto un’illusione dei nostri sensi.
La ferma convinzione di Parmenide che la realtà fosse immobile e immutabile non impedì che la sua città decadesse fino ad essere abbandonata nel VI secolo d. C., forse anche a causa dell’interramento del porto o forse a causa della malaria, fino a scomparire in un oblio quasi completo. La sabbia ricoprì i quartieri bassi di fronte al mare, le due piccole isole, chiamate Enotridi, che fungevano da attracco e protezione davanti all’ingresso del porto furono inglobate nella linea di costa e il territorio rimase disabitato per circa seicento anni. Poi, in pieno medio evo, nel X secolo d. C., i Longobardi prima e i Normanni poi decisero di occupare la collina dell’acropoli, che, per la sua conformazione ripida, si prestava molto bene ad essere fortificata. Le pietre dell’antico tempio di Atena ormai distrutto furono utilizzate per la costruzione di un insediamento fortificato e di una chiesa paleocristiana. I secoli passarono e di Velia sembrò perdersi anche il ricordo, ma non del tutto. Alcune campagne di scavo furono intraprese nella prima metà del secolo scorso, ma i risultati non rendevano giustizia alla grandezza passata della città. Nel 1964 accadde però un fatto molto interessante. Un luogo abbastanza circoscritto in prossimità della cima della collina era chiamato dalle popolazioni locali con lo strano nome di Vùccolo. In dialetto cilentano questa parola significa “piccola bocca”, ma di bocche o caverne o altri pertugi non vi era alcuna traccia. L’archeologo Mario Napoli, che guidava all’epoca una campagna di scavo, convinto che i nomi non siano un fatto casuale, ma abbiano un significato semantico intrinseco, fece eseguire degli scavi in località Vùccolo.
L’8 marzo 1964 la sua intuizione fu premiata dalla scoperta di uno dei monumenti più importanti dell’antichità greca, perché gli scavi portarono alla luce una splendida porta con arco a tutto sesto di 2,7 metri di larghezza, aperta nel muro di fortificazione della città. La porta, battezzata “Rosa” in onore della moglie dell’archeologo, Rosa De Franciscis, smentì l’opinione comune che i greci non conoscessero la tecnica dell’arco e della volta, che si ritenevano invece inventati dagli etruschi o dai romani. Si stima che la costruzione delle mura e della porta risalga al IV secolo a.C. Dopo circa cento anni la porta fu ostruita forse da una frana o forse volontariamente dagli abitanti di Velia, che la ritennero un punto debole nelle fortificazioni che difendevano la città dalle ostili popolazioni autoctone dell’entroterra. Fu proprio questa circostanza che ne ha permesso la perfetta conservazione negli oltre due millenni trascorsi fino alla sua scoperta.
Se fosse solo per l’interesse puramente archeologico, Velia o Elea (se si preferisce la dizione greca ellenistica) sarebbe soltanto uno dei tanti siti di richiamo turistico che abbondano nella nostra Italia, da qualcuno giustamente definita “la penisola del tesoro”. Ma a Velia c’è qualcosa di più: questi luoghi assolati, lambiti da un mare cristallino, verdeggianti di ulivi, immersi nel profumo della macchia mediterranea sono ancor oggi pervasi dallo spirito di Parmenide e di Zenone, di quella Scuola eleatica che ha reso immortale il nome di questa città. Proprio per mantenere vivo questo ricordo e per trasformarlo in una fonte di cultura viva, il 6 giugno 1987 fu costituita a Marina di Ascea, quindi a due passi dagli scavi di Velia, la “Fondazione Alario per Elea - Velia ONLUS”. La Fondazione nacque dalla precisa volontà della signora Gaetana Alario, ultima discendente di una nota e illustre famiglia cilentana ed ha la sede legale in un antico palazzo di famiglia, nato come masseria fortificata alla fine del XIX secolo e completamente restaurato dall’architetto Paolo Portoghesi, che ha anche realizzato nuovi spazi, come il Teatro Zenone, l’Auditorium Parmenide, la Foresteria “Il ritrovo di Parmenide”, creando così un vero e proprio complesso polivalente, unico in questo territorio, adatto ad ospitare numerose attività culturali, di formazione e di ricerca ed eventi di comunicazione, arte e spettacolo.Per citare solo le attività più recenti della Fondazione, possiamo ricordare “Eleatica”, che è il nome dell’evento che da quattro anni riunisce, sotto la direzione scientifica di Livio Rossetti, i maggiori esperti mondiali di filosofia antica che studiano e analizzano tra l’altro l’attualità della scuola Eleatica, da cui molti studiosi fanno scaturire anche la nascita della prestigiosa “Scuola medica salernitana” e di alcune discipline scientifiche. “Eleatica è una grande opportunità di sviluppo e di ricostruzione dell’identità per i 95 comuni del Parco Nazionale del Cilento – spiega Pasquale Persico, presidente della “Fondazione Alario” – che partendo dall’attualità dei temi della conoscenza, della verità e dell’essere, propri del pensiero filosofico di Parmenide, che venticinque secoli or sono trasse ispirazione da questi luoghi, contribuirà significativamente a superare la marginalità e il degrado, per costruire una nuova città consapevole della risalita culturale ed economica”.L’edizione di quest’anno di “Eleatica” è stata dedicata al tema “La natura delle cose prima di Parmenide: il mondo visto da Senofane” e si è tenuta dal 13 al 15 maggio, con tre lezioni magistrali di Alexander Mourelatos, professore di filosofia e studi classici all’Università del Texas.
Ha collaborato all’evento la prestigiosa accademia di Atene, che ha reso così possibile l’avvio di un programma di collaborazione culturale e turistica con la città di Olimpia, grazie alla prima mondiale dello spettacolo teatrale “Gli altri Olimpici. Filosofi e poeti all’olimpiade del 476 a.c.” scritto da Thomas Robinson, messo in scena dalla Compagnia del Giullare di Salerno per la regia di Andrea Carraro, nella splendida cornice degli scavi di Velia. “Gli scavi di Elea non possono rimanere emarginati dai circuiti culturali e turistici – ha detto il Sindaco di Ascea, Mario Rizzo - con “Eleatica” puntiamo allo sviluppo delle conoscenze e ad una piena valorizzazione del nostro antico e prestigioso patrimonio culturale”.
Il programma di valorizzazione del territorio cilentano ha visto inoltre, nel corso delle giornate di “Eleatica 2010”, l’inaugurazione del prestigioso fondo librario specialistico di Filosofia antica e discipline classiche della Biblioteca Alario e l’originale cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria dell'antica città di Elea, un riconoscimento che affianca a Parmenide e Zenone un gruppo di scienziati che sono chiamati a reggere le sorti della Città (virtuale) di Elea, diventandone cittadini, ma anche ambasciatori nel mondo. Quest’anno il riconoscimento è stato conferito al prof. Jonathan Barnes dell’Università La Sorbona di Parigi.
Parmenide, dalla pace di Velia, affermava che la vera realtà fosse nell’essere eterno ed immobile. Oggi, a distanza di millenni, il fervore dialettico che egli profondeva nell’agorà, nelle palestre, negli stoà di Velia sembra rivivere negli stessi luoghi, grazie a un’iniziativa prestigiosa e illuminata, che dimostra come il nostro sud possa ancora rappresentare, come in passato, un faro culturale per il mondo intero. Forse Parmenide vedrebbe in questo una conferma delle proprie idee: al di là delle trasformazioni, delle distruzioni, dei mutamenti, che egli riteneva un’aberrazione dei nostri sensi, resta l’essere assoluto, il pensiero, la cultura, che rivive e si riafferma al di là del tempo.
(3 – continua)
Paolino Vitolo
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