(HERMES di aprile 2012.)
Per puro caso questo numero di Hermes esce in prossimità del 25 aprile, data che da che sono nato si usa considerare giorno di vacanza, il che non è male, considerando che siamo a primavera e, se il tempo ci aiutasse, si potrebbe andare al mare o in campagna o comunque in gita, magari con un bel ponte. Qualcuno pensa che il 25 aprile sia non solo una vacanza, ma addirittura un giorno di festa. Io francamente non vedo che cosa ci sia da festeggiare, se è vero come è vero che nella primavera del 1945, o giù di lì, perdemmo una guerra e ci svergognammo al punto tale che ancora oggi l'immagine internazionale del nostro Paese ne risulta compromessa. Se non ci credete, guardate che cosa sta succedendo ai nostri due marò ingiustamente imprigionati in India, tanto per citare l'esempio più recente. Sento già qualcuno che ribatte che il 25 aprile è festa perché ricorda la liberazione dal Fascismo. Io gli rispondo che dopo 67 anni sarebbe ora di dimenticare queste "liberazioni", perché un regime politico, che io ritengo buono, ma qualcun altro può ritenere cattivo, fu soffocato nel sangue. Pur rispettando le idee altrui, come sempre mi sforzo di fare, vorrei che la si finisse di ricordare una guerra civile che costò dolore e morte a tanti innocenti. Vorrei insomma stendere un velo pietoso sui caduti di entrambe le parti, perché non è lecito dividere in buoni e cattivi i protagonisti di quell'immane tragedia. I cattivi non sono tutti da una parte ed i buoni non sono tutti dall'altra e convinciamoci una volta per tutte che non c'è una "parte sbagliata" per definizione.
Con questo spero di aver chiuso l'argomento politico, perché è di tutt'altro che vorrei parlare. Il 25 aprile è un giorno infausto non solo per quanto detto, ma anche per altri importanti motivi. Come sempre partiamo da lontano, anzi da molto lontano. Torniamo a qualcosa come 3000 anni fa e troviamo una guerra famosa, che tutti conosciamo e quasi tutti abbiamo studiato a scuola. Sto parlando della guerra di Troia, tra Greci e Troiani. Se pensate che essa sia stata combattuta per i begli occhi di Elena, moglie del greco Menelao rapita (consenziente) dal troiano Paride, siete decisamente fuori strada. L'oggetto della guerra di Troia era il predominio commerciale ed economico sull'area del mare Egeo, che guarda caso separava i due contendenti. Analogamente le Crociate non furono fatte per liberare la Terra Santa ed il Santo Sepolcro dall'oppressione araba, ma per conquistare i mercati orientali e la cosiddetta via delle spezie. Insomma, facendo un po' di sana dietrologia, ci si accorge che alla base di tutte le guerre ci sono motivi economici. Anche la seconda guerra mondiale, così come la prima (entrambe non sono altro che il primo e il secondo tempo di una stessa guerra) furono combattute per il predominio economico mondiale, anche se in questo caso la situazione è un pochino più complessa. Come già dissi in un precedente numero di Hermes, all'alba dell'evo moderno nacque la cosiddetta finanza internazionale. Semplificando ber brevità, qualcuno si accorse che il semplice possesso del denaro conferiva al possessore un grande potere. Possedere molto denaro permetteva di accumularne ancora di più senza lavorare, ma semplicemente prestandolo o investendolo in affari più o meno leciti. Si cominciò a distinguere tra chi lavorava e produceva ricchezza, e tra chi possedendo semplicemente ricchezza poteva incrementarla senza lavorare, cioè sottraendola ad altri soggetti più deboli. Perché, com'è ovvio, se è il lavoro che produce ricchezza, chi si arricchisce senza lavorare toglie ricchezza a chi invece lavora. Sto semplificando al massimo, ma proprio questo distingue la finanza dall'economia. Il predominio della finanza portò a delle situazioni abnormi: apparvero le prime banche e poi le superbanche, cioè le banche centrali, private a tutti gli effetti, anche se spesso erroneamente credute banche di stato. Le banche e le superbanche teoricamente dovrebbero finanziare il lavoro, cioè prestare i soldi agli imprenditori che creano ricchezza; invece trovano molto più redditizio investire i propri soldi nella speculazione. E avviene anche di peggio: le banche centrali hanno la facoltà (o per lo meno se la sono arrogata) di stampare carta moneta (cioè foglietti colorati, né più ne meno come quelli del monopoli) che "prestano" agli stati in cambio di titoli di stato obbligazionari (i famosi BOT o BTP), con cui gli stati si impegnano a restituire soldi veri, con in più una barcata di interessi, in cambio della carta colorata ricevuta in prestito. E i mercati, cioè le banche, cioè quelli che tengono la ricchezza dalla parte del manico, definiscono anche l'entità degli interessi desiderati, e se lo stato debitore è ritenuto poco affidabile, gli interessi richiesti sono più alti. Da qui ha origine il famoso "spread", cioè la differenza con gli interessi richiesti alla Germania, ritenuta lo stato più affidabile. Ma non finisce qui: la finanza internazionale, cioè le banche, applicano un tasso di sconto ben diverso se prestano i soldi o se li prendono. Se avete denaro sul conto corrente, gli interessi non coprono nemmeno le spese e tanto meno l'inflazione, ma se ne chiedete in prestito o peggio andate sotto il fido, gli interessi richiesti sono terribili, dieci volte tanto. E ancora, l'anatocismo, cioè gli interessi composti, che indica semplicemente che si calcolano gli interessi non sul solo capitale prestato, ma anche sugli interessi stessi, è una pratica illegale e incostituzionale che viene allegramente tollerata. Potrei continuare a lungo, ma lo spazio non è sufficiente. In Europa, da quando è nato l'euro, con la costituzione della BCE, la Banca Centrale Europea, questa situazione già scandalosa è addirittura peggiorata. Le vecchie banche centrali nazionali non possono più stampare moneta; solo la BCE può farlo e quindi tutti gli stati sono debitori della BCE, che, come tutte le banche, preferisce ovviamente speculare sulla finanza piuttosto che finanziare gli stati per produrre lavoro e ricchezza. E se lo fa, lo fa a caro prezzo.
Questo stato di cose, non solo europeo, ma universale, è stato contrastato già in passato da alcuni stati. Addirittura il ministro delle Finanze dell'ultimo zar Nicola II, Alexander Sack, nella Russia ormai strangolata dai debiti, definì come "debito deprecabile" (odious debts) il debito artificiosamente prodotto dalla finanza internazionale e sancì il principio che gli stati da questa oppressi potessero semplicemente ribellarsi non onorandolo. Egli non fece in tempo ad applicarlo, perché morì nel 1916 e appena un anno dopo la Russia, anche perché ridotta al lumicino dalle speculazioni della finanza, cadde sotto la tirannide sovietica. Il concetto di debito deprecabile è volutamente tenuto nascosto dai media, per la maggior parte in potere della finanza internazionale, perché estremamente pericoloso per quest'ultima. A questo proposito vorrei citare un episodio illuminante, anzi allarmante. Poiché prima di scrivere ho l'abitudine di documentarmi, ho fatto una ricerca su internet con la voce "alexander sack", utilizzando il browser Google Chrome ed il motore di ricerca Google. La prima risposta è stata l'indirizzo di un sito www.odiousdebts.org, che era proprio quello che cercavo. Purtroppo, appena ho fatto click sull'indirizzo, si è aperta una pagina di avvertimento, con la dicitura "Avviso- se visiti questo sito il tuo computer potrebbe subire danni!", e con la spiegazione che il sito stesso era stato sottoposto a ben sette attacchi di hacker negli ultimi trenta giorni, con possibile immissione di codice pericoloso per gli eventuali visitatori. Purtroppo con grande disappunto, poiché il computer mi serve e contiene tutto il mio lavoro, ho dovuto rinunciare a visitare il sito, anche se la mia curiosità era stata eccitata dalla circostanza. La "morte informatica" del sito di cui sopra somiglia molto alla morte vera che fu inflitta a ben quattro presidenti degli Stati Uniti, che nel corso degli ultimi due secoli, avevano capito il grande pericolo del signoraggio imposto dalla finanza internazionale e avevano deciso di affrancarsi dalla famosa Federal Reserve (quella che conserva immense ricchezze a Fort Knox). I nomi? Abraham Lincoln, ucciso il 14 aprile 1865; James Garfield ucciso il 2 luglio 1881; William McKinley ucciso il 6 settembre 1901; John F. Kennedy ucciso a Dallas, in Texas, il 22 novembre 1963. Di questi almeno due, il primo e l'ultimo sono personaggi famosi. Molti altri furono solo feriti e se la cavarono.
Quello che non riuscì ai presidenti degli Stati Uniti riuscì invece ad uno solo di quegli stati, il North Dakota. Situato al nord, al confine del Canada, con clima pessimo di tipo continentale, con popolazione di soli 641.481 abitanti (nel 2008), quindi al penultimo posto fra gli altri stati, privo di risorse e materie prime, essenzialmente agricolo, il North Dakota possiede l'unica banca controllata direttamente dallo stato, la Bank of North Dakota, con sede a Bismarck, fondata nel 1913 a seguito di una dura lotta referendaria. Questa banca, a differenza della Federal Reserve e delle altre banche centrali, non fa speculazioni finanziarie, ma si dedica solo al credito alle imprese, cioè alle attività lavorative. Grazie a questa sua peculiare banca centrale, il piccolo stato è in attivo e lo è sempre stato e non ha neanche risentito della famosa crisi del 1929, alla quale tanto somiglia la crisi che purtroppo oggi stiamo vivendo. E, guarda caso, nemmeno l'Italia risentì della crisi del 1929. Ma quella era un'altra Italia, dove governava uno statista chiamato Benito Mussolini, andato al potere sette anni prima democraticamente e a furor di popolo. Chi ne dubita si documenti sui libri di storia, ma su quelli seri, non sugli scartafacci che circolano nelle scuole da una sessantina d'anni. Mussolini impedì alla crisi di manifestarsi in Italia creando l'IRI, l'Istituto per la Ricostruzione Industriale, che finanziava le imprese in difficoltà, affiancandosi in questo alla Banca d'Italia, che anch'essa allora finanziava il lavoro e non speculava in borsa. Poteva una simile felice congiuntura essere sopportata dalla finanza internazionale, il cui disegno è ed è sempre stato quello di dominare i popoli del mondo? Certo che no! E da qui la lotta contro il Fascismo, e contro la Germania, che pur con le debite distinzioni, era riuscita a superare la fame e la mostruosa inflazione provocata dal diktat delle potenze plutocratiche vincitrici nella prima guerra mondiale, semplicemente affrancandosi dal signoraggio delle banche centrali. E così cominciarono discorsi del tipo, che ben conosciamo oggi, come quello dell'"esportazione della democrazia", e ci furono le "sanzioni" che cercarono di strangolare la sana economia dell'Italia fascista, rea di essersi affrancata anch'essa dal signoraggio. E i poteri che non avevano esitato ad assassinare dei presidenti degli Stati Uniti, che altri assassinii avrebbero compiuto in seguito (ricordate Enrico Mattei, fondatore dell'ENI, che aveva affrancato l'Italia dalla schiavitù dell'energia, il cui aereo fu fatto precipitare con una bomba ad orologeria?), quei poteri cominciarono a preparare la guerra, per schiacciare quelle nazioni che avevano osato ribellarsi ad essi.
E così anche l'Italia fu trascinata in una guerra che non voleva e che aveva cercato fino all'ultimo di evitare anche con pesanti interventi diplomatici nelle sedi internazionali competenti. Anche qui gli increduli si documentino sui libri di storia veri.
Perdendo la guerra fummo inglobati nella sfera economica occidentale, quella in cui le banche influenzano la vita dei popoli. La creazione dell'euro fu il capolavoro dei finanzieri e dei plutocrati, che riuscirono a creare la dittatura della BCE, togliendo agli stati europei la possibilità di difendersi dalla speculazione. Per convincersene basta guardare a che cosa è successo alla Grecia e a quello che sta succedendo alla Spagna, all'Irlanda e – Dio ci salvi! – a noi. Ma forse ci è già successo, con la pressione fiscale che ha superato (ufficialmente) il 45% e che aumenterà ancora, grazie al governo tecnico, che ha cancellato la democrazia, del tecnico Mario Monti, grande professore, ma piccola, minuscola, infima pedina nella mani dei suoi padroni, i grandi plutocrati che cercano con diabolica determinazione di impadronirsi del mondo.
Per questo il 25 aprile non è festa.
Paolino Vitolo