(Hermes marzo 2014)
Come i miei lettori certamente ricorderanno, prima di parlare di Palinuro Centola e in generale del nostro territorio, mi piace esprimere qualche considerazione sulla situazione nazionale e - perché no? – mondiale. Proprio come un uccello (un’aquila o un falco – oserei dire), che, prima di posarsi sul suo nido, ama sorvolare dall’alto le terre che lo circondano.
Per vedere il mondo, il falco deve volare molto alto: è fatale che possa percepire solo le cose più appariscenti. E in questo ambito quello che più colpisce è un improvviso inaspettato ritorno al passato, un passato remoto che si riteneva definitivamente morto e sepolto. Alludo al repentino riaccendersi della guerra fredda (perdonate la contraddizione in termini), che aveva dominato la scena mondiale per mezzo secolo dopo la fine della guerra “calda”, e che tutti gli esperti e gli storici avevano ormai definitivamente archiviato, ritenendo che gli Stati Uniti d’America, unica potenza rimasta dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica, dovessero ormai occuparsi solo di compiti secondari, se pur gravosi, come la lotta al terrorismo, l’”esportazione della democrazia”, la sconfitta degli “stati canaglia”. Tutti termini non sempre sinceri, ma spesso finalizzati a mascherare quello che mi piace definire “imperialismo della globalizzazione”.
La Russia di Putin, invadendo di fatto la Crimea, regione di un altro stato sovrano, l’Ucraina, per di più con annesso corredo di bandiere rosse tirate fuori dalla naftalina della storia, ha dato una bella scossa alle nostre certezze. Che cosa succederà? Nulla probabilmente, come ci auguriamo, anche se è bastata la minaccia di tagliare le forniture di gas russo all’Europa non solo a far calare immediatamente le brache all’Europa stessa, ma anche a far invece alzare immediatamente il prezzo del petrolio. Ce ne accorgeremo nei prossimi giorni o settimane, quando andremo a fare rifornimento dal benzinaio.
E arriviamo così all’Italia, che ancora di dibatte nella crisi, che dura ormai da almeno sei anni, e che, mentre gli altri stati europei mostrano i primi segni di ripresa, deve invece fare i conti con l’aumento della disoccupazione e della povertà e con la riduzione dei consumi; in una parola con una recessione che non vuole finire. Ma dobbiamo capire che per l’Italia la situazione è molto particolare. La nostra democrazia non è più giovane (a settant’anni si può considerare almeno anziana), ma dopo tanto tempo ci accorgiamo che forse si stava meglio quando ancora non era nata o forse, più semplicemente e più tristemente, non ne siamo degni. Intanto c’è da dire che la democrazia, almeno formalmente, in Italia non c’è più. Infatti se vogliamo definirla come governo del popolo, cioè di rappresentanti del popolo liberamente eletti, dobbiamo convincerci della realtà che, dalla fine del 2011, un governo di questo tipo non si è più visto. Senza voler sforzare la memoria andando troppo indietro, ricordiamo che nel 2008 fu liberamente eletto dal popolo il governo Berlusconi. Non voglio giudicarlo in questa sede, ci mancherebbe: io non sono il popolo, ma solo un povero elettore. Non voglio dire se quel governo abbia fatto bene o abbia fatto male, anche perché il nero non è mai tutto nero e il bianco non è mai tutto bianco: ci sono state certamente cose buone e cose meno buone e magari cattive. Normalmente alla fine della legislatura si ritorna alle urne e il popolo, democraticamente, giudica l’operato del governo precedente e decide o di confermarlo o di dare la sua fiducia ad altri rappresentanti. Sistema imperfetto, ma semplice. Sistema che non potrà mai accontentare tutti, ma sistema semplice e soprattutto unica alternativa alla tirannide.
In Italia, invece, alla fine del 2011 si è deciso di fare a meno della democrazia e si è inaugurato un sistema molto più primitivo, sinistramente simile alla dittatura, anzi alla tirannide, come ha ampiamente scritto uno straniero che – non so perché – ama vivere in Italia: Alan Friedman nel suo libro “Ammazziamo il gattopardo”. Libro che vi consiglio di leggere, perché è molto istruttivo. Come ha scritto Friedman e come più modestamente ho scritto anch’io su questo foglio (cfr. Hermes febbraio 2013 – “Basta con i sogni, riprendiamoci i futuro”), il governo Monti non fu eletto da nessuno, ma imposto dal presidente Napolitano su ordine della Germania, o meglio della Merkel. Il governo Letta fu imposto ancora da Napolitano dopo il fallimento del professor Monti e le conseguenti elezioni dal risultato per lo meno ambiguo. Infine l’attuale governo Renzi è stato anch’esso imposto dal presidente della repubblica dopo il sostanziale fallimento di Letta, che, per mantenersi in equilibrio fra gli innumerevoli trabocchetti che lo circondavano, era riuscito a non fare praticamente nulla.
Prima di passare a parlare di Renzi, devo doverosamente accennare al presidente Napolitano, che, pur dovendo essere istituzionalmente garante della costituzione, è riuscito a farne strame, violentandola per ben tre volte in poco più di due anni. Complimenti! Non sapevamo che l’Italia fosse una repubblica presidenziale e, se anche lo fosse, il presidente dovrebbe essere eletto direttamente dal popolo, il che non è. È vero che nessuno tiene più a queste pignolerie, ma mi sembra che la costituzione, anche se non penso che sia la più bella del mondo, come dice un noto comico, è comunque l’unica che abbiamo, almeno per ora, e proprio chi ne è il garante istituzionale dovrebbe rispettarla e farla rispettare. Come dice un altro comico, che però ha deciso di cambiare mestiere (anche se fa ridere lo stesso).
Ma veniamo a Renzi. Anche se nessuno l’ha eletto, i suoi sostenitori sono numerosissimi, certamente la maggioranza. Facile a capirsi: Renzi è giovane e dopo settant’anni di vecchiume si sentiva un gran bisogno di un po’ di aria fresca. Renzi dice a muso duro le cose come stanno (o almeno come pensiamo che stiano) e poi promette di aggiustare i guasti, di rinnovare la politica, di fare le cose che tutti si aspettano, passando sopra alla politica dei veti incrociati, delle pastoie burocratiche dei poteri consolidati, spazzando via tutto ciò che ha ridotto l’Italia come è ridotta. Non so se riuscirà a fare quello che ha promesso, non so se ha capito di quale compito immane si è caricato, ma mi auguro con tutto il cuore che ce la faccia. Perché in questo momento Renzi è l’ultima spiaggia e se dovesse fallire non ci rimarrebbe che la catastrofe. Catastrofe che non è comunque completamente da temere, perché, come insegna la storia, dopo ogni rivoluzione c’è la catarsi e chi sopravvivrà avrà a disposizione un mondo migliore. Egoisticamente non ci auguriamo questo; ci auguriamo semplicemente che Renzi ce la faccia. Dalla sua ha l’entusiasmo, la determinazione, il cinismo ed una smisurata ambizione; ha un atteggiamento spavaldo contro i poteri occulti e palesi, contro le forze della conservazione dello status quo, contro il sistema perverso e autoreferenziale ereditato dal passato. Non ricordavo nessun presidente del consiglio che avesse avuto il coraggio di rispondere all’abituale protervia dei sindacati con una frase ironica e guascona come quella pronunciata da Renzi in un’intervista: “Se i sindacati ci contrasteranno, ce ne faremo una ragione!”. Frase che mi piace perché sottintende che il governo del paese non può essere delegato a nessun’altra istituzione che non sia il governo stesso; per tautologica definizione. Mi auguro solo che Renzi non sottovaluti i pericoli, anche di incolumità personale, a cui va incontro.
È giunto il momento per il falco di posarsi nel nido e quindi di parlare del nostro territorio. La sottile sensazione di timido ottimismo, che proviamo per la nazione Italia, la proviamo anche per questa terra che amiamo. L’abbiamo scritto chiaramente in questo stesso numero di Hermes, nel commento all’intervista al sindaco Carmelo Stanziola. Si tratta, come avrete visto, di un’intervista scarna, in cui sono stati trattati pochi argomenti, tutti relativi a risultati acquisiti. Non si è parlato di previsioni, di desideri, di progetti futuri, di sogni. Questo atteggiamento concreto ci è piaciuto, ma ha solo alimentato la speranza, perché la sproporzione tra quanto già fatto e quanto si deve ancora fare è purtroppo ancora di dimensioni preoccupanti. Bene è aver capito che il turismo è la nostra risorsa principale e che occorre puntare su di essa: bene è il dare spazio e supporto alle iniziative dei privati che lavorano in questa direzione; buono e positivo è l’atteggiamento dell’amministrazione comunale. Un esempio concreto è il discorso della Primula di Palinuro, ampiamente trattato in questo numero. Ma c’è ancora tanto da fare e, dopo anni di immobilismo, noi cittadini abbiamo fretta. Ci sono cose per cui mi batto da anni – datemene atto – ma senza risultati concreti. Vorrei ritornare sul discorso della fruizione delle bellezze del capo Palinuro, che costituisce il richiamo turistico principe del nostro territorio. Quasi un anno fa, nel numero di Hermes di luglio 2013, parlai dell’imprescindibile necessità di regolamentare l’accesso alle grotte marine del capo, imponendo il rispetto della legge, che vieta tassativamente di entrare nelle grotte con barche a motore a combustione interna. Sfidando i malumori di alcuni bastian contrari, citai l’esempio di un coraggioso operatore turistico che di sua iniziativa e a sue spese aveva dotato una delle sue barche di un motore elettrico, da usare solo per entrare nelle grotte o per atterrare sulle spiagge, dove consentito. Cercai di stimolare l’amministrazione comunale ad incentivare e ad aiutare gli altri operatori a fare altrettanto. Ma poi è venuto l’inverno e il problema è stato accantonato, senza pensare che esso si presenterà puntualmente tra pochi mesi o settimane. Oggi esorto l’amministrazione a pensarci, a trovare una soluzione anche diversa da quella citata, ma a trovarla comunque prima dell’estate. Vorrei ricordare un’eccellenza turistica della nostra regione, l’isola di Capri, dove tutte le grotte marine sono state chiuse, tranne la grotta Azzurra, alla quale nessun privato può accedere, ma dove si entra con appositi barchini autorizzati, che si spostano all’interno con l’utilizzo di cavi di acciaio ancorati alle pareti della grotta.
Altro punto dolente è la gestione e la manutenzione dei bellissimi sentieri e percorsi naturalistici che sono stati aperti a Palinuro a Centola e nella altre frazioni. Cito un paio di esempi. Un paio di anni fa fu inaugurato il sentiero delle torri del capo Palinuro, che parte dal porto per finire al fortino napoleonico presso il Semaforo. Percorso bellissimo, che però rischia di essere letteralmente inghiottito dalle erbacce per scarsa o nulla manutenzione. Analogo e più grave problema: lo splendido borgo medioevale di Sanseverino è chiuso per problemi di dissesto geologico. Che cosa pensa di fare l’amministrazione per ripristinare e proteggere queste eccellenze? Perché non coinvolgiamo anche delle associazioni di volontariato per affrontare questi problemi, che sappiamo benissimo essere complessi e difficili?
E infine vorrei toccare un argomento ancora più scottante, quello del porto. Confesso i miei limiti, ma non ho ancora capito se il porto di Palinuro è un posto dove attraccano le barche oppure è un mucchio di stabilimenti balneari. E, se si vuole, come pare, che esso sia tutte e due le cose, non riesco a capire dove finisce l’una e dove comincia l’altra. Con questa commistione abbiamo un porto privo di servizi essenziali (banchine galleggianti, rifornimento carburante, supermercato, giornalaio) ed una spiaggia insicura con acque poco pulite proprio nei periodi di maggiore affluenza turistica. So di aver toccato un tasto dolente, ma ritengo che questa amministrazione comunale abbia il coraggio di affrontare anche i tasti che fanno male.
Vorrei chiudere questo mio scritto con una nota di ottimismo. Dopo anni di immobilismo, di futili contrasti campanilistici, di ripicche, di discussioni sterili e inconcludenti, mi sembra che finalmente le forze positive, da sempre presenti nel nostro paese, ma spesso ingiustamente mortificate, stiano prendendo il sopravvento. Forse è solo l’aver acquisito una maggiore coscienza di sé e una corretta autostima che ha spinto tante persone e le stesse istituzioni ad abbandonare la sterilità della parola per affidarsi finalmente alla concretezza dei fatti. Si respira finalmente un’aria di primavera. Forza, ragazzi, facciamo in modo che ad essa segua l’estate!