Paolino Vitolo, consulente informatico, webmaster, ITC 	consultant, giornalista, scrittore.Una primula fa primavera. Troppe no.
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(Hermes dicembre 2015)

Mia moglie è venuta a Palinuro per trascorrere con me il ponte dell’Immacolata. Infatti, come i miei amici ben sanno, mentre io, pur adorando la città dove sono nato, cioè Napoli, preferisco vivere a Palinuro, mia moglie invece preferisce vivere a Napoli, dove ci sono i nipotini, le vetrine illuminate, la folla per strada in qualunque ora del giorno e persino della notte. Io la capisco: lei non ha girato mezzo mondo per lavoro, come ho fatto io, non ha mai preso un aereo al volo, un taxi di corsa, non è mai andata dal cliente con l’azienda a casa del diavolo, non ha mai terminato una riunione all’ultimo momento col rischio di perdere il treno. Quindi non può apprezzare come me la pace idilliaca e la serenità di Palinuro (escludendo ovviamente il mese di agosto). È sabato sera e decidiamo di fare una passeggiata lungo il corso, che, nonostante non sia più tardi delle sei, è quasi deserto. Mentre l’albero di Natale e le illuminazioni in piazza non sono ancora pronte, in via Indipendenza le luci di Natale sono già accese. Purtroppo però i colori sono così smorti che paradossalmente sembra che invece di fare luce facciano buio. I negozi sono tutti chiusi e così pure i bar, le pizzerie e i ristoranti, tranne qualche sparuta eroica eccezione. Eppure siamo nel primo giorno del ponte dell’Immacolata, durante il quale, come sapremo poi, mezza Italia si è messa i viaggio e per esempio Napoli e Salerno hanno conosciuto un bum di presenze che non si verificava da anni. Quindi, come è ovvio, inevitabile come la morte, arriva la frase lapidaria: “Che mi hai fatto venire a fare in questo mortorio?” E purtroppo, annichilito, non so che cosa rispondere.
Eppure la natura ha dato a questa terra la bellezza, il mare, la montagna, un clima invidiabile. E l’uomo le ha dato la storia, la cultura, la tradizione. Ma gli uomini di oggi non sanno purtroppo approfittare di questi doni e preferiscono vivacchiare in due mesi di arrembaggio estivo, per poi cadere in letargo nei restanti mesi dell’anno. L’ho detto tante volte e sono stanco di ripeterlo: la nostra unica ricchezza è il turismo ed è nostro dovere fare di tutto per valorizzare le potenzialità che ci sono state donate. Voglio però farmi forza ed elargire qualche consiglio, forse non richiesto, ma sicuramente in buona fede, e qualche mia idea su come invertire questa tendenza negativa che vede Palinuro peggiorare costantemente ormai da anni. Qualcuno forse mi ascolterà e spero che lo faccia soprattutto l’amministrazione comunale ed il sindaco, che è giovane e intelligente e quindi perfettamente in grado di capirmi e di avviare, se possibile, le iniziative necessarie a far sì che le idee ed i buoni propositi diventino realtà.
Prolungamento della stagione turistica. A Palinuro la stagione turistica dura un mese e mezzo, forse due. A settembre la maggior parte dei locali e degli esercizi commerciali si affretta a chiudere, tanto dopo si guadagna poco. La stagione climatica dura invece almeno cinque mesi, forse sei; senza contare che il nostro territorio potrebbe offrire attrazioni anche di tipo non balneare, da godere quindi anche se non fa proprio caldo. Cosa fare per prolungare la stagione turistica? Un primo intervento sarebbe imporre agli operatori turistici di prolungare il loro servizio oltre i due mesi canonici, pena il ritiro della licenza. Solo questo, oltre ad essere ingiusto, è anche insufficiente. Bisogna anche far sì che la gente venga da noi non solo per i bagni, ma anche per fruire di offerte culturali e ambientali diverse. A Perugia si sono inventati la festa della cioccolata per riempire la città di turisti nel mese di novembre. Da noi si potrebbe insistere con iniziative come il “calice di storia” o la “festa della primula”, che già hanno dato buoni risultati in passato. O si potrebbe puntare sul turismo congressuale, riempiendo così gli alberghi anche d’inverno. O ancora si potrebbero organizzare raduni di trekking archeologico, basati sulle innumerevoli risorse offerte dal nostro territorio. Già, le risorse archeologiche! Insieme con gli amici di un gruppo archeologico creato proprio per questo, ho recentemente visitato un sito prestigioso unico al mondo: l’area archeologica di Tempa della Guardia, con reperti pre-greci risalenti a circa 4000 anni fa. Il sito è facilissimo da raggiungere, perché sta praticamente nel centro del paese, ma, dopo una pomposa inaugurazione di pochi anni fa, ora è in stato di completo abbandono. I sentieri per raggiungere i reperti sono in gran parte invasi dai rovi e le stesse rovine sono ormai quasi invisibili e coperte da erbacce. I cartelli didattici sono ormai illeggibili e quasi completamente cancellati dal sole. In un’altra occasione sono salito alla Molpa. In verità, mentre salivo, ho avuto il piacere di incontrare degli operai incaricati dal Parco del Cilento che mettevano in sicurezza il sentiero, ma, una volta arrivato in cima, mi è stato impossibile trovare l’antico castello, completamente nascosto dai rovi e col sentiero completamente scomparso. Simile degrado ho potuto notare sul sentiero delle torri del capo Palinuro. Unica eccezione: il sentiero che dal porto sale alla pineta del Belvedere, che è stato completamente riattivato con un recente intervento. E questa eccezione mi fa capire che chi di dovere ha già ben chiaro che cosa bisogna fare per valorizzare queste risorse. E allora per favore, rimettiamo a posto il sito più importante, quello di Tempa della Guardia.
Offerta di servizi di qualità. Se si vuole un turismo qualificato, bisogna saper offrire dei servizi all’altezza, anche se costosi. Altrimenti si finirà soltanto per attirare una becera marmaglia che non porta ricchezza, ma solo rifiuti e degrado. Noi abbiamo già naturalmente le basi per offrire un prodotto di qualità. Limitandosi solo alla risorsa mare, la nostra costa è una delle più belle del Tirreno e le grotte costituiscono di per sé una grande attrazione. E qui incontriamo subito un punto dolente: sembra che una parte degli operatori turistici che operano nelle grotte facciano di tutto per distruggere lo stesso patrimonio da cui traggono sostentamento. Entrare nelle grotte col motore acceso sarà anche più comodo, ma non è assolutamente lecito, perché questa aggressione distrugge irrimediabilmente il delicato ecosistema delle grotte marine. A parte la legge, che c’è e che vieta di entrare a motore nelle grotte o in prossimità della costa, il buon senso dovrebbe bastare a far cessare questi comportamenti scorretti. Ma siccome evidentemente il buon senso scarseggia, occorre incrementare la sorveglianza per far rispettare la legge. E inoltre non dovrebbe essere consentito a chiunque di entrare nelle grotte, ma soltanto ad operatori autorizzati, dotati magari di motore elettrico, iscritti in un apposito registro comunale. Evitando così che gente che viene dai paesi vicini si senta in diritto di spadroneggiare insozzando una risorsa delicata, che, data la scarsa sorveglianza e la mancanza di opportuni regolamenti, appare alla mercé di chiunque. Riassumo per maggior chiarezza: - registro comunale degli operatori autorizzati ad entrare nelle grotte col motore spento; - nessun altro può entrare; - incentivo dell’amministrazione comunale agli operatori autorizzati per l’acquisto di un motore elettrico.
E sempre a proposito di servizi, vorrei parlare del porto e della balneazione. Il porto purtroppo fu progettato male e realizzato peggio. Quando il porto non c’era, le onde di maestrale, che è il vento dominante nella rada di Palinuro, spazzavano la costa a sud e portavano la sabbia verso nord, dove si formava una bella spiaggia, mentre la rada rimaneva libera. Con la costruzione dell’attuale diga, senza un’altra diga a nord, la corrente, non potendo entrare da maestrale, cioè da nord ovest, e non trovando alcun ostacolo sul lato nord, ha semplicemente cambiato percorso ed entra tranquillamente da nord est. Risultato: il porto si insabbia ed è esposto alla risacca al punto che, anche d’estate, nei giorni di maestrale è pericoloso o almeno molto scomodo da usare. Questa situazione ereditata dal passato ha impedito l’installazione di banchine galleggianti, diminuendo la capienza del porto stesso. Le barche sono per la maggior parte ospitate in rada e, almeno d’estate, si riesce ad usufruire del porto, grazie all’ottimo servizio fornito dalla Cooperativa Porto. D’inverno però si deve solo scappare. I posti per le barche grandi sono comunque esigui, non c’è un distributore di carburante, non c’è un supermercato, non c’è una rivendita di giornali. Tutto ciò fa sì che il turismo nautico più ricco eviti accuratamente di fermarsi a Palinuro, preferendo i più comodi approdi dei paesi vicini. Infine, poiché la sabbia portata dalla risacca di ritorno ha creato una bellissima spiaggia all’interno del porto, e avendo rinunciato alle operazioni di dragaggio che pure si facevano nei primi anni, si è pensato bene di dare concessioni demaniali a profusione, trasformando il porto in un grande stabilimento balneare (a pagamento), proprio dove non si potrebbe, visto che la legge vieta esplicitamente la balneazione “in prossimità delle zone portuali”. E come ciliegina sulla torta si è lasciato un esiguo pezzetto di spiaggia libera (obbligatoria per legge) proprio sotto la Capitaneria ed in prossimità dell’attracco delle barche. Il tutto con grande sprezzo del pericolo e delle elementari regole di sicurezza.
Mi rendo conto a questo punto di aver tediato i miei lettori con discorsi che ripeto ed ho ripetuto nel tempo, fino alla noia. Sono certo che i responsabili della nostra amministrazione sanno benissimo che cosa bisogna fare per migliorare nel campo turistico. Capisco anche che tante cose non si fanno, perché molti provvedimenti potrebbero essere impopolari e potrebbero far perdere consensi elettorali. Ma voglio pensare che la maggior parte della popolazione di questa nostra splendida terra abbia più a cuore il bene comune che i propri interessi particolari. Vorrei che anche i nostri amministratori abbiano presente questa visione ottimistica e un po’ utopistica. Forse solo con questo spirito potremo evitare di rassegnarci. Ed eviteremmo pure i tristi discorsi che si fanno soprattutto all’inizio dell’inverno, tempo di bilanci sul passato e di progetti per il futuro. Quando purtroppo si dice con grande amarezza: “Siamo tornati indietro di almeno cinquant’anni”.
Ma non deve essere così; non abbiamo il diritto di arrenderci. Lo dobbiamo ai nostri figli, ai nostri nipoti, al nostro futuro.


Paolino Vitolo


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