(HERMES on line - 17 marzo 2019)
Cari amici lettori di Hermes, oggi è domenica e mi va di scherzare un po’. E siccome non mi è mai piaciuto partecipare ai cori, soprattutto quando sono globali, vorrei farvi sentire la mia voce da solista.
Vorrei ritornare, prima che affondi nell’inevitabile oblio di questo mondo sciaguratamente legato al presente, ma ignorante del passato e noncurante del futuro, sulla bellissima manifestazione di venerdì scorso, in difesa dell’ambiente e contro la deriva climatica globale. Di questo evento vi abbiamo anche dato conto su Hermes in un articolo proprio di quel giorno (Global strike for future). è stato stupendo vedere tanti ragazzi di tutto il mondo manifestare per la difesa del loro futuro; era ora che qualcuno cominciasse a preoccuparsi del futuro ed è giusto che lo faccia chi di futuro ne ha tanto davanti a sé.
Queste cose le abbiamo fatte pure noi, quando eravamo ragazzini, convinti di lottare per una giusta causa e tutti pieni di entusiasmo. Ed anche contenti – concedetemi la malignità – di marinare un giorno di scuola. Certo quelle di allora (sessant’anni fa) non potevano essere manifestazioni globali, perché non c’era internet, non c’erano i social network e nemmeno gli smartphone; e il telefono aveva il buon vecchio disco combinatore. Però ci divertivamo lo stesso, ed eravamo convinti ed entusiasti come i ragazzini di venerdì scorso.
Quelli più vecchi di me manifestavano per “Trieste italiana”, perché alla fine della sciagurata Seconda guerra mondiale perdemmo l’Istria e la Dalmazia, ma i vincitori non ebbero il coraggio di toglierci anche l’italianissima città di San Giusto, che rimase come “Territorio libero di Trieste” fino al 1954, quando fu restituita alla Patria italiana. Io nel 1954 avevo nove anni e andavo alle elementari, per di più dalle suore Maestre Pie Filippine di Spoleto, quindi non potevo partecipare a manifestazioni di sorta. Mi sfogai però qualche anno dopo, a quattordici anni, quando a Napoli andai a manifestare sotto il Consolato austriaco per l’”Alto Adige Italiano”. Io e l’inseparabile amico Uccio riuscimmo ad eludere i cordoni peraltro piuttosto evanescenti della polizia e, brandendo il tricolore, urlammo i nostri slogan in piazza. Alla fine – si era fatta ora di pranzo – arrotolammo le bandiere sull’asta e ci accingemmo a tornare a casa. Però non avevamo pensato che, così arrotolate, le bandiere tecnicamente diventavano bastoni e perciò venimmo miseramente arrestati e avemmo l’onore di viaggiare in cellulare fino alla Questura. Qui fummo trattenuti, ahimè digiuni, fino alle quattro del pomeriggio, quando vennero a prelevarci i rispettivi padri, che finsero, senza molto successo, di essere arrabbiati.
Ma basta rimembrare, torniamo al presente! Lo “sciopero globale per il futuro” nasce quasi per caso, dall’iniziativa di una quindicenne svedese, Greta Thunberg, che per sette mesi è andata tutti i venerdì sotto il Parlamento di Stoccolma a manifestare contro il riscaldamento globale, convinta che nel mondo non si faccia abbastanza per contrastare la deriva climatica. Greta è una ragazzina anonima e piuttosto bruttina: tutto il contrario della biondona vichinga coscialunga, che allieta i sogni dei maschietti latini. Ma forse proprio per questo è diventata il simbolo e l’eroina di questo movimento giovanile, diventato in breve tempo globale proprio perché ormai viviamo in un mondo globale. E proprio perché il mondo è globale, anche le stupidaggini lo sono. Infatti si è sparsa la notizia che Greta sarebbe stata proposta per il premio Nobel per la pace. Non sappiamo se ciò sia vero, ma me lo auguro per lei, che ne sarebbe molto più degna di un vecchio pagliaccio nostrano, al quale nel 1997 fu concesso il premio Nobel per la letteratura, con conseguente sputtanamento del premio stesso.
Ma basta scherzare! Parliamo di cose serie. Il riscaldamento globale è un PROBLEMA, che non può essere più sottovalutato né tanto meno ignorato. Dal punto di vista prettamente scientifico esso è provocato dai cosiddetti gas serra, che, come i vetri di una serra, fanno entrare il calore e non lo fanno uscire più. Il gas serra più abbondante e più pericoloso è l’anidride carbonica (CO2) che è il prodotto finale di qualunque tipo di combustione (anche della respirazione degli organismi viventi). Se la natura non avesse predisposto un antidoto all’aumento del CO2, la Terra sarebbe già ridotta ad un posto infernale come il pianeta Venere, dove le temperature superficiali si aggirano in media intorno ai 400•C, a causa di una concentrazione di anidride carbonica così mostruosa da provocare una pressione atmosferica al suolo di ben 92 atm! L’antidoto naturale a tutto ciò è la sintesi clorofilliana, che fa sì che le piante si “nutrano” letteralmente di anidride carbonica, catturando il carbonio per la loro vita e rilasciando purissimo e benefico ossigeno.
Due professori dell’University College di Londra, S. L. Lewis e M. A. Maslin, hanno recentemente pubblicato un libro intitolato “Il pianeta umano”, in cui si tratta essenzialmente dell’impatto dell’umanità sul pianeta Terra. Gli autori definiscono la nostra era con il suggestivo nome di antropocene, per sottolineare l’influenza preponderante dell’uomo sull’ambiente. L’antropocene può essere distinto in quattro ere basate sui cinque modelli di società che si sono evoluti nel tempo. All’inizio c’era “caccia e raccolta” con impatto ambientale minimo, seguito poi nell’ordine da “agricoltura”, “capitalismo mercantile”, “capitalismo industriale”, e infine “capitalismo consumistico”, con impatto ambientale via via crescente.
La spirale del consumismo, secondo gli autori, potrebbe portarci alla catastrofe, ma l’uomo non è un animale completamente stupido e gli autori sono ottimisti sul fatto che esso saprà spezzare la spirale. E a questo proposito citano un fatto importante. Se fossimo una specie qualsiasi, come le scimmie per esempio, la crescente ricchezza di risorse ci avrebbe portato inesorabilmente ad un aumento incontrollato della popolazione fino ad una improvvisa catastrofe finale. Invece, grazie anche all’emancipazione femminile, la popolazione non è aumentata, ma si sta stabilizzando.
Oltre a questo, è indispensabile che il modello consumistico venga abbandonato. Non basta che si rinunci ai combustibili fossili: la produzione di gas serra non dipende solo dalla combustione, ma dall’insieme delle attività umane, non ultima la deforestazione incontrollata per ricavare terreni agricoli a scopo alimentare. Proprio a questo proposito, il libro cita ad esempio una circostanza particolare evidenziata dalle tecniche di carotaggio del ghiaccio dell’Antartide. Come è noto nel ghiaccio formatosi in un certo anno si conservano le informazioni sull’atmosfera di quello stesso anno. Ebbene, intorno al 1600 l’anidride carbonica toccò un minimo molto accentuato. La spiegazione più plausibile è la ricrescita delle foreste americane dopo il genocidio delle popolazioni autoctone da parte degli invasori europei. è noto che i Maia e gli Inca usavano un tipo di agricoltura intensiva. Scomparse quelle civiltà, ritornarono le foreste, che ora noi ci stiamo accanendo a distruggere (vedi la foresta amazzonica).
Infine vorrei fare un’ultima considerazione sull’automobile e sul trasporto in generale, che sono considerati tra i più grandi generatori di gas serra. La società consumistica in cui viviamo vorrebbe farci cambiare le nostre vecchie auto a benzina e diesel con delle automobili elettriche. Prima o poi è fatale che ciò avverrà e così non produrremo più scarichi inquinanti. Ci basterà caricare le batterie ai distributori elettrici che presto nasceranno come funghi. Ma come sarà stata prodotta l’energia elettrica di cui ci riforniremo? Con dei pannelli fotovoltaici o delle pale eoliche? O piuttosto con delle belle centrali termiche a petrolio o, peggio, a carbone? O ancora con centrali nucleari?
In verità queste ultime sono le meno inquinanti, almeno dal punto di vista della CO2, perché non ne producono affatto. Ma poiché, come ogni manufatto umano, non sono sicure al 100%, noi belle mammolette le vietammo con uno sciagurato referendum indetto nel 1987 sull’onda del disastro di Chernobyl. Con il risultato di comprare ancora oggi energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari francesi a due passi dai nostri confini.
Come vedete, cari lettori, non sono molto ottimista sulla soluzione del problema dell’ambiente. Non basta porsi dei limiti sull’aumento della temperatura globale, limiti che peraltro non tutti rispettano. La natura ci sta punendo e ci dice che abbiamo torto. La soluzione è molto diversa: se vogliamo salvarci dovremo superare la fase del “capitalismo consumistico” e il nostro stile di vita dovrà cambiare radicalmente.
Ci vorrà del tempo, molto tempo e il mio orizzonte temporale è purtroppo relativamente ristretto. Ma quello di Greta, ed anche dei miei nipoti, è molto molto più lungo. Hanno ragione i giovani di preoccuparsi. è bene che lo facciano, perché salvando se stessi salveranno tutta l’umanità.
Il 2018 è stato il quarto anno più caldo mai registrato, parte di una tendenza decennale al riscaldamento.