(IL MONITORE - novembre 2002 - Pubblicato col titolo: "Ben venga la vittoria!")
Ogni volta che la guerra si avvicina, aumentano i pacifisti. Lodevole e comprensibile tendenza, se non fosse che questi stessi personaggi si agitano solo per le guerre future degli Stati Uniti d’America, mentre si dileguano sistematicamente in occasione delle guerre, degli eccidi, delle prepotenze, non future – purtroppo – ma drammaticamente attuali, degli innumerevoli dittatori che infestano il globo terrestre. Mussolini, ai suoi tempi, li chiamava molto appropriatamente "panciafichisti"; oggi, con molto meno fantasia, li chiamiamo semplicemente comunisti in mala fede, visto che i loro cortei sono irrimediabilmente farciti di bandiere rosse e anacronistiche falci e martelli.
E poiché questi cortei, giustamente, fioriscono durante i fine settimana, con molto piacere e con un pizzico di malignità abbiamo molto apprezzato come, proprio nella stessa domenica dei cortei pacifisti, i cittadini di Bolzano abbiano votato a grande maggioranza, in un referendum indetto dalla coalizione di Destra, per il ripristino del nome della loro piazza della Vittoria, che l’amministrazione di Sinistra, insieme con i compari della Südtiroler Volkspartei, aveva proditoriamente ribattezzato piazza della Pace. E questo non perché non preferiamo la pace alla guerra (solo un pazzo potrebbe pensarla così), ma perché, come disse il generale americano Mac Arthur all’indomani dello sbraco dei suoi compatrioti in Corea, "nulla può sostituire la vittoria". In parole povere, vogliamo fortemente la pace, ma, se la guerra è necessaria, perché i nostri diritti, il nostro bene, la nostra identità e la nostra stessa esistenza è minacciata, è giusto combatterla possibilmente fino alla vittoria.
La prima guerra mondiale, la nostra guerra "15-18", la combattemmo per ripristinare i confini della Patria, per riunire tutti gli italiani, anche quelli oppressi da dominazioni straniere, sotto l’unico Stato italiano. Ottenemmo la vittoria, ma l’invidia di qualche alleato ci impedì di completare il progetto: la Dalmazia, da sempre terra veneziana, ci fu negata al tavolo della pace, forse per timore che l’Adriatico diventasse un lago italiano. In cambio ci fu dato il Tirolo meridionale, che noi ribattezzammo Alto Adige, e che governammo sempre – checché se ne dica – con equità e con attenzione verso la minoranza di lingua tedesca, sino al punto di sfiorare l’autolesionismo, con i tedeschi preferiti agli italiani negli uffici pubblici e nelle scuole, con la lingua italiana bistrattata e posposta nella toponomastica, non solo al tedesco, ma addirittura – dove presente – al ladino. Non ci sembra che altrove, in Istria e Dalmazia, disgraziatamente in mano allo straniero, i nostri concittadini siano trattati allo stesso modo. Non ci sembra che essi siano preferiti agli slavi, che i nomi delle città e delle strade siano riportati "anche" in italiano (che poi è la vera lingua di quei nomi). E non possiamo dimenticare che in passato, nei tempi bui del dopoguerra, gli italiani furono trucidati, infoibati, i più fortunati costretti a fuggire, perdendo la casa e tutte le loro cose, ridotti a mal sopportati profughi in patria.
Negli anni ’60, ai tempi degli attentati dei separatisti altoatesini, il monumento che troneggia al centro di piazza della Vittoria a Bolzano, con le tombe degli eroi Cesare Battisti e Fabio Filzi, fu più volte squassato dalle bombe degli attentatori. Esso non cadde mai, ma si dovette circondarlo di una possente cancellata di ferro. Oggi che gli animi sono placati, che la pace è nel cuore degli uomini di buona volontà, che tutte le patrie sono unite spiritualmente nell’unica patria europea, non è necessario ribadire con i nomi che la pace è il nostro amore più grande. Rispettiamo gli eroi che hanno combattuto e hanno dato la vita per darcela; rispettiamo chi si è sacrificato perché sapeva che solo la vittoria contro il male può portare la pace. E perciò, a Bolzano come in tutto il mondo, vinca la vittoria!