(Corriere del Mezzogiorno - 24 dicembre 2002 - Pubblicato col titolo: "Giorgio Almirante? Ma una piazza la merita")
Gentile Direttore,
l’articolo di Massimo Scalfati sulla piazza di Napoli da dedicare a Giorgio Almirante, pubblicato su “Il Corriere del Mezzogiorno” del 28 novembre scorso, mi ha spinto a chiederle ospitalità sul suo giornale. Massimo Scalfati, infatti, persona che io stimo e ammiro e con cui mi onoro di avere molte affinità (non ultima quella di scrivere entrambi sulla rivista “Il Cerchio” di Giulio Rolando), esprime in quello scritto soltanto il suo parere, non certo quello di tutta la Destra.
E’ vero, Giorgio Almirante da giovane era redattore di un giornale di matrice razzista; ma nel 1935 egli aveva solo vent’anni e poteva incorrere in qualche peccato di gioventù. Non era però un caso isolato, visto che anche il bisnonno di colui che, prima ancora di tornare in Italia, si è dato alla pubblicità dei sottaceti, non si limitò a scrivere su un cattivo giornale, ma firmò certe leggi razziali, applicate a volte all’italiana, ma pur sempre leggi.
E’ vero, Giorgio Almirante era fascista, capo del Movimento Sociale Italiano, partito che mescolava nel suo seno sentimenti nostalgici e aneliti sociali e progressisti; ma Almirante forgiò la sua creatura Gianfranco Fini, che, proprio sulle tracce del maestro, è riuscito a riscattare la Destra dal peso delle sue anacronistiche nostalgie e a creare un partito moderno ed europeo come Alleanza Nazionale. Del resto, come ci ha ultimamente ricordato Paolo Mieli, la storia non si fa con i se e con i ma: la nuova Destra, checché se ne dica, è scaturita da Almirante. E questo è un fatto storico e incontrovertibile.
Tutto ciò però conta poco nella questione che stiamo dibattendo: se Almirante meriti o non che una piazza o una via di Napoli siano intitolate al suo nome. Quello che conta è se Napoli debba qualcosa a quest’uomo, se egli si sia impegnato per la città e se i napoletani conservino di lui un buon ricordo. Nel 1983 Almirante si candidò a sindaco di Napoli nelle elezioni comunali che poi furono vinte dal PCI di Maurizio Valenzi; se allora ci fosse già stata l’elezione diretta del sindaco, Almirante avrebbe vinto, perché batté di gran lunga tutti gli avversari, compreso lo stesso Valenzi. Ma i tempi non erano maturi e, nonostante la storica affermazione, il MSI non vinse e Almirante divenne un semplice consigliere comunale. Altri avrebbero sdegnosamente trascurato gli impegni politici del modesto ruolo conquistato; egli invece addirittura affittò un piccolo appartamento in via dei Mille, a Palazzo d’Avalos, per poter partecipare da vicino alla vita politica di una città che, con la forza di un colpo di fulmine, era diventata un po’ sua. E, coerente con il suo proposito e con le promesse fatte alle folle dei comizi di piazza Plebiscito, Almirante lavorò coraggiosamente per Napoli. Non credo che si possa dire lo stesso di tanti eletti delle ultime gloriose consiliature di Bassolino e soci.
A Napoli abbiamo un viale Elena che è diventato viale Gramsci; abbiamo persino una piazza Togliatti. Non volendo cedere al cattivo gusto di citare gli “errori di gioventù” di quest’ultimo, quando dalla Russia sovietica incitava ad uccidere i soldati italiani, pur tecnicamente suoi compatrioti, mi chiedo che cosa c’entrino Gramsci e Togliatti con Napoli. Certo un simile dubbio non sorgerebbe, nel bene e nel male, se Napoli avesse una piazza Almirante. La stessa sindaca Iervolino, che certo non può essere tacciata di nostalgia e di fascismo, si è detta d’accordo; e ciò mi rende e ci rende felici, perché ci rendiamo conto di essere in numerosa, nonché autorevole compagnia.
Paolino Vitolo