(IL MONITORE - ottobre 2004)
Quando abbiamo saputo che era stato ucciso, barbaramente, come si conviene in una guerra ormai senza regole, senza fronte e senza schieramenti, stavamo ancora festeggiando per la liberazione di quelle due ragazzotte fortunate, conosciute universalmente come “le due Simone”. Ci ha dato quasi fastidio che questo sconosciuto, dal nome quasi impronunciabile e difficilmente memorizzabile, avesse osato guastare le festa incredibilmente bipartisan, esplosa in un’Italia miracolosamente unanime alla liberazione delle suddette ragazzotte, le quali forse, grazie ai nostri sforzi, si stanno magari convincendo di essere due eroine o almeno due pozzi di scienza e di saggezza, meritevoli di lauree honoris causa, come qualche sconsiderato ha avuto la faccia di proporre. E a proposito! A quando il premio Nobel per le due Simone? L’hanno dato a cani e porci, anche ad un vecchio pagliaccio nazionale: non vedo perché non dovremmo reclamarlo per queste due ragazze, che almeno stavano in Iraq a fare del bene, rischiando sulla propria pelle, come i fatti hanno ampiamente dimostrato.
Ma torniamo al nostro Ayad Anwar Wali, il cui nome non riusciamo ad imparare e che dimenticheremo già domani. Era irakeno, senza dubbio, ma abitava in Italia, in Veneto, da più di vent’anni; aveva sposato un’italiana ed aveva un figlio, italiano a tutti gli effetti. Forse ad Ayad mancava solo la cittadinanza del nostro Paese, un semplice pezzo di carta, ma in realtà viveva e lavorava per noi ed era andato in Iraq a lavorare per noi. Non a far del bene ai poveri e ai bambini, certamente, ma semplicemente a lavorare onestamente, per far del bene anche all’Italia che gli aveva dato il lavoro. Eppure, quando è stato rapito da sporchi terroristi non meno odiosi di quelli che avevano sequestrato le due Simone, nessuno si è mobilitato, non ci sono state marce per la pace, né candele accese, né bandiere arcobaleno. Nessuno ha pensato ad Ayad e nemmeno al suo bambino di dieci anni, che piangeva la mancanza del padre e pure non è riuscito a commuovere nessuno del nostro popolo, rinomato adoratore di bambini! Ayad non tornerà in Italia, in questa terra ingrata che l’ha ucciso con l’oblio prima ancora che lo uccidessero i terroristi - lo ha detto il fratello, nel riceverne il cadavere. E questa sarà una grave perdita per noi, per tutti noi, non certo per lui, che pure non chiedeva altro che di tornare nella nostra terra, perché la sentiva come sua e perché veramente era la sua terra, la sua patria, la sua casa, la sua famiglia. Perché Ayad era davvero un italiano, era uno di noi, uno che non faceva politica, che cercava di far bene il proprio lavoro e lo faceva bene sul serio, senza grilli per la testa, senza bandiere, senza proteste, senza prese di posizione, senza orpelli, senza perdite di tempo. Egli era un italiano onesto, un italiano laborioso, un italiano per bene, un italiano qualunque. E questa è stata la sua condanna. E perciò è morto.
Onore ad Ayad Anwar Wali, un italiano, un vero italiano.