(IL MONITORE - novembre 2004)
Una mattina di questo autunno tardivo del 2004, durante il solito telegiornale che apre (e spesso chiude) le mie gracili giornate televisive, sono colpito da una visione a prima vista ridicola, anzi grottesca. Una vecchia befana, del tipo di quelle che si aggirano negli ospizi o piuttosto nelle case di riposo per anziani, legge con aria improbabilmente seria e supponente dei fogli che stringe nelle mani adunche. A prima vista mi ricorda appunto la Befana della mia infanzia, perché veste un mantello nero, ma poi, guardando bene, l’impressione benevola suscitata dal ricordo della cara vecchietta, che portava regali attesi da mesi, cede il passo allo stupore, alla costernazione ed infine alla rabbia. La vecchia in TV non è la Befana, perché sul mantello nero non porta il cappuccio, ma anzi mostra fieramente dei capelli tinti di un assurdo colore rosso. E, quel che è peggio, il mantello che indossa è una toga da magistrato e i fogli che legge sono una sentenza emessa da un tribunale della Repubblica Italiana. Abbiamo capito tutti di chi si tratta, ed anche il contenuto della sentenza è noto. Siamo abituati a sentire discorsi simili in tutti i comizi e in tutte le manifestazioni di una sinistra evidentemente disperata, nei salotti radical chic frequentati da gente troppo intelligente e soprattutto troppo benestante per preoccuparsi dei veri problemi del Paese. Ma purtroppo questo non è né un comizio né un salotto, ma – ripetiamo - è un tribunale, dove le giustizia è stravolta e utilizzata a fini di bassa politica, per insultare il capo del Governo, e la lettura di una sentenza è trasformata in un comizio del tipo di quelli che si tenevano in piazza più di mezzo secolo fa.
In una nazione seria un simile magistrato sarebbe stato come minimo rimosso dall’incarico, ma qui, purtroppo, oltre al fatto che i magistrati sono praticamente intoccabili, c’è lo spaventoso problema che essi non hanno capito che, una volta vestita la toga, non possono e non devono più fare politica. Le loro idee, rispettabilissime, andrebbero confinate nella cabina elettorale, al momento di esprimere il voto, o al massimo in uno dei salotti che abbiamo già citato. Invece in Italia, il potere giudiziario è stato teneramente educato e coltivato negli anni da una parte politica che, al di là delle chiacchiere e dei vaneggiamenti dei soliti idioti, continua a riferirsi ai rivoltanti insegnamenti di un verme che persino in Russia, dove giace imbalsamato, è stato ridimensionato al punto di ridare il buon vecchio nome ad una città, San Pietroburgo, cui era stato proditoriamente tolto negli anni bui della rivoluzione. Secondo gli insegnamenti del verme di cui sopra, ogni sistema, anche il più ributtante, è lecito pur di conquistare il potere: la democrazia, la separazione dei poteri dello Stato, la verità, la lealtà sono stupidaggini, parole, fumo negli occhi della plebe. L’importante è conquistare il potere e soprattutto conservarlo con ogni mezzo. Capisco come questi disgraziati siano ridotti all’isterismo dall’avvento di un uomo che, proprio non essendo un politico, ha rimescolato le carte ed è riuscito a spiazzarli. Un uomo contro il quale sono richiesti, non in pubblica piazza, ma in un tribunale dello Stato, ben otto anni di reclusione per un presunto episodio di corruzione, avvenuto quando l’imputato era un semplice imprenditore e non il Presidente del Consiglio. Ma – siamo seri! – quale imprenditore di un certo livello poteva lavorare in un’Italia ingabbiata nel sistema della prima repubblica, senza ungere opportunamente il politico giusto? E, anche se fosse, otto anni non si danno più nemmeno ad un assassino, figuriamoci a qualcuno che, forse, ha lavorato nell’unico modo possibile, producendo comunque benessere e ricchezza per il Paese. Un signore che forse non sarà un granché, che forse poteva fare meglio, ma che almeno ha avuto il coraggio di spezzare il circolo vizioso, che ha ogni giorno il coraggio di esprimere ad alta voce le proprie idee, anche se scomode e non “politicamente corrette” (a differenza di altri che, per bramosia di potere, ha rinnegato il proprio passato) e che infine ha avuto il grande, grandissimo merito di aver ridotto questa sinistra “sull’orlo di una crisi di nervi”. Un uomo, che se all’inizio abbiamo guardato con perplessità, che forse non ci era nemmeno simpatico, sta cercando di rispettare il suo programma elettorale pur tra le mille difficoltà e le impreviste continenze internazionali e soprattutto le slealtà e la becera opposizione di una parte politica, che soffre terribilmente per una bruciante nostalgia di potere. Una parte politica che, a dire il vero, un merito ce l’ha: quello di averci fatto apprezzare un Presidente del Consiglio, che, alla faccia loro, sta portando in porto il suo mandato, come non si era mai visto in tutta la vita della nostra ormai non più tanto giovane Repubblica.