Paolino Vitolo, consulente informatico, webmaster, ITC 	consultant, giornalista, scrittore.Benedetto XVI
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(IL MONITORE - maggio 2005 - pubblicato col titolo. "Tradizioni e modernità")

Le trepidanti mammolette rosse avevano già dato i primi segni di nervosismo. Qualcuna aveva rispolverato vecchi proverbi popolari, come quello che recita “Chi entra papa in conclave ne esce cardinale”; qualche altra, dotata di più corposa capacità di giudizio, aveva accolto con sollievo le prime fumate nere ed aveva prontamente asserito, con la sicumera dei veri depositari del verbo, che questi ritardi dimostravano che il partito del cattivo oscurantista, del fondamentalista di “destra”, non era riuscito a spuntarla all’inizio e che quindi ogni successivo scrutinio avrebbe allontanato sempre più il pericolo di una sua elezione. Certo che il cardinale Joseph Ratzinger, nell’omelia della messa “pro eligendo pontifice”, l’aveva fatta proprio grossa: aveva osato dichiarare al mondo che la Fede non ammette compromessi, che il Cristianesimo è l’unica dottrina VERA e che il relativismo imperante nel mondo moderno (occidentale, naturalmente) è un errore gravissimo, da evitare accuratamente. C’erano proprio tutti gli ingredienti per inscenare una bella campagna del tipo di quella che si scatenò ai tempi dell’elezione presidenziale americana, che eccitò a tal punto le mammolette nostrane, che addirittura uno dei più accesi giornali nazionali di sinistra, sbagliando clamorosamente per aver dato fede ai sondaggi di altre mammolette, si precipitò ad annunciare al popolo che Kerry il buono aveva battuto il cattivo Bush. Senza considerare che le nostre categorie mentali di destra e sinistra, di buono e cattivo non hanno alcun senso nella realtà americana, dove tutti sono innanzitutto americani, e tanto meno in quella della Chiesa Cattolica Romana, dove tutti sono innanzitutto uomini di Dio e prediletti dello Spirito Santo. Inoltre, nel caso dell’elezione di un Pontefice, c’è un altro aspetto fondamentale che spesso viene sottovalutato: il cardinale eletto, nel momento stesso di accettare il terribile onere, sceglie un nuovo nome diverso dal suo. Non a caso il massimo giornalone delle mammolette, il giorno dopo dell’elezione del Papa, titolava “La Chiesa di Ratzinger”, usando, unico fra tutte le testate, il vecchio nome, dimostrando, come al solito, di non aver capito bene. Se è vero, com’è vero, che i nomi sono l’essenza delle cose, che nomen omen e che nomen è simile a numen, questo significa semplicemente che sulla cattedra di Pietro da oggi non c’è Joseph Ratzinger, ma Benedetto XVI, e non sappiamo come sarà il suo pontificato. Non sappiamo se seguirà le orme del suo predecessore Giovanni Paolo II, non sappiamo se continuerà la sua opera di ecumenismo itinerante, né se proseguirà su quella che sembra la strada tracciata dall’ex cardinale Ratzinger. Possiamo solo fare congetture. Se si è voluto chiamare Benedetto, come il santo che dai monti di Norcia rischiarò il buio del medio evo con la luce della fede e della cultura, forse vorrà indicare quello che nella costituzione europea si è voluto artatamente tacere, che cioè l’Europa è innanzi tutto cristiana, perché senza il Cristianesimo l’Europa non sarebbe nemmeno esistita. Se appena due giorni prima della sua elezione, dall’altare di San Pietro ha condannato ogni relativismo, forse lavorerà per una fede unica, per una fede vera, per l’unica fede vera; senza peraltro disprezzare le altre, che non sono sbagliate a priori, ma sono semplicemente tracce del faticoso cammino dell’Uomo verso la Verità. Forse, ma solo il tempo potrà darci la risposta. Per quel che ci riguarda, basta il ricordo del sorriso che Benedetto XVI ha rivolto urbi et orbi quando si è affacciato per la prima volta al balcone di San Pietro. E’ un’immagine che porteremo sempre nel nostro cuore, perché per un attimo ci ha fatto sentire più buoni, più felici, più sereni; in una parola, ci ha fatto provare improvvisamente e inaspettatamente la grazia del Signore. E ringraziamo Dio, con tutto il cuore, di averci concesso questo momento.


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